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C.r. Puglia 19.03.19
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Speaker : .
(Inno nazionale)
Speaker : PRESIDENTE.
Buongiorno a tutti.
Diamo per approvato il verbale della seduta precedente.
Hanno chiesto congedo Maurodinoia e Cera.
È assegnato alla I Commissione un nutrito numero di debiti fuori bilancio; alla III Commissione un disegno di legge n. 15 “Norme sul controllo del randagismo”; sempre alla III Commissione “Richiesta parere sulla delibera di Giunta n. 138 del 30 gennaio 2019”, “Richiesta parere deliberazione della Giunta n. 345 del 22 marzo 2019, 26 febbraio 2019”; V Commissione “Proposta di legge a firma del consigliere Gatta Nuova disciplina per l’assegnazione e la determinazione dei canoni di locazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica”; III e VI in seduta congiunta “Richiesta parere delibera di Giunta numero 385”; V e IV Commissione referente consultiva “Proposta di legge a firma del consigliere Casili, Disposizioni per la riduzione del consumo di suolo”; II Commissione e VII Commissione disegno di legge “Norme in materia di equo compenso nell’esercizio delle professioni regolamentate”; IV Commissione e VI Commissione proposta di legge a firma del consigliere Liviano “Interventi regionali di tutela e valorizzazione processioni della settimana santa”.
Hanno, inoltre, presentato interrogazioni: Zullo “Legge n. 53”; Galante “Impianto EDEN ‘94 di Manduria”; Pellegrino “Sollecito costituzione tavolo regionale per l’autismo”; Laricchia, Barone, Di Bari “Progetti del Consiglio regionale su Aldo Moro”; Liviano D’Arcangelo “Discarica di Corigliano d’Otranto”; Gatta “Deliberazione del direttore generale dell’ASL Foggia n. 27”; Laricchia “Interventi di pulizia delle banchine e degli specchi acquei del Porto di Molfetta”.
Mozioni: Turco, Pellegrino “Divieto della pesca dei cavallucci marini”; Perrini, Zullo, Ventola e Manca “Lavoratori ARPA Puglia”.
Chiedo alla collega Laricchia l’ordine del giorno prioritario.
I sindacati dei poligrafici della Gazzetta hanno presentato l’esigenza di varare un ordine del giorno. L’ordine del giorno è stato condiviso da tutti i Gruppi. Vi leggo la parte dispositiva: “Il Consiglio regionale della Puglia impegna il Governo regionale a farsi carico della situazione evidenziata in premessa presso il Governo nazionale affinché, a fronte di situazioni di crisi conclamate, si valuti di ripristinare, sia pure per un periodo predefinito, il vecchio requisito dei trentadue anni di anzianità contributiva, per evitare ricadute traumatiche della crisi del settore poligrafico, che nuocerebbero gravemente alle lavoratrici e ai lavoratori, difficilmente ricollocabili sul mercato del lavoro. Impegna sempre il Governo affinché si possa avviare un percorso condiviso presso il Ministero del lavoro e dello sviluppo economico al fine di individuare soluzioni che consentano la salvaguardia dei livelli occupazionali e la valorizzazione delle professionalità anche attraverso percorsi di formazione e riqualificazione.
Chi è d’accordo?
È approvato all’unanimità.
Passiamo al primo punto all’ordine del giorno, la mozione sulla cosiddetta autonomia differenziata.
Abbiamo concordato nella Conferenza dei Capigruppo di mettere a disposizione, come abbiamo fatto altre volte, venti minuti circa per Gruppo.
Ha chiesto per primo la parola il collega Amati. Hai chiesto di parlare, collega Pentassuglia? Non l’avevo visto sul mio monitor. Va bene.
Speaker : PENTASSUGLIA.
Presidente, sull’ordine dei lavori, per cortesia. Può darmi la parola?
Voi avete concordato di iniziare dalle mozioni, e noi siamo qui. Io e qualche collega è da un’ora e mezzo che stiamo seduti in Aula. Noi abbiamo rinviato la discussione delle mozioni perché doveva esserci il Presidente. Ma abbiamo bisogno, su un tema così importante, visto anche il numero di mozioni che si sono susseguite, che noi si discuta con il Governo regionale. Ci devono essere il Presidente e gli assessori tutti, perché quello che sta avvenendo a Roma in questi giorni è una…
Speaker : PRESIDENTE.
Consigliere Pentassuglia, ho capito, ma io stavo attendendo il Presidente.
Mi viene sollecitato da parecchi consiglieri di cominciare e io ho cominciato: mettetevi d’accordo, abbiate pazienza!
Io stavo qui attendendo proprio il Presidente della Giunta regionale. Più consiglieri mi hanno sollecitato di cominciare, e io ho provato a cominciare. Se poi dobbiamo attendere, attendiamo il Presidente.
Speaker : PENTASSUGLIA.
Presidente, non vorrei che chi sollecita sia chi è arrivato per ultimo, perché giustamente…
Speaker : PRESIDENTE.
Non lo so, non l’ho calcolato questo. Io non calcolo l’orario di arrivo
Speaker : PENTASSUGLIA.
Neanche io Presidente, però poi dobbiamo discutere di una cosa seria…
Speaker : PRESIDENTE.
Benissimo. Attendiamo insieme…
Speaker : PENTASSUGLIA.
Dobbiamo esserci tutti perché questo tema deve impegnare il Governo regionale in qualsiasi modo il Consiglio regionale decida.
Speaker : PRESIDENTE.
Lo ripeto per l’ennesima volta: stavo tardando per attendere il Presidente. Mi è stato sollecitato di cominciare, e io ho cominciato… Poi, se qualcuno vuole rifocillarsi è libero di farlo, compreso il collega Zullo.
Dopodiché, aspettiamo che arrivi il Presidente.
Iniziamo la seduta.
Come avevamo concordato nella Conferenza dei Presidenti, ci sono venti minuti per Gruppo per discutere le varie mozioni in ordine di arrivo.
Do la parola al consigliere Amati.
Speaker : AMATI.
Signor Presidente, colleghi, prenderò una parte dei venti minuti riservati al nostro Gruppo. Noi abbiamo presentato la mozione non per discutere dell’istituto dell’autonomia, così come previsto dalla Costituzione. Non era nostra intenzione, né lo sarà, trasformare il Consiglio regionale nell’accademia sugli aspetti costituzionali. Noi abbiamo presentato la mozione perché vogliamo discutere del progetto di autonomia in questo momento all’attenzione del Governo nazionale, proposto attraverso le bozze d’intesa della Lombardia e del Veneto in particolare e anche con riferimento al tema dei vari referendum svolti in quelle due regioni. Perché dico in premessa questo? Perché non ci sfugge – lo abbiamo sentito – che altre regioni sono impegnate in questo percorso e in ogni caso avanzano delle questioni funzionali. Però, la maggior parte delle questioni funzionali che avanzano le altre regioni sono iniziative che in fondo, se guardate bene, mirano alla semplificazione e alla sburocratizzazione, che è una cosa completamente diversa dall’autonomia prevista dall’articolo 116 della Costituzione.
Faccio un esempio. Alcune regioni chiedono di poter decentrare i poteri relativi ai beni culturali con riferimento ai poteri delle sovrintendenze. Come sapete, i beni sono beni a valle di un procedimento puntualissimo. Per cui, chiedere eventualmente di non appesantire il procedimento amministrativo e magari utilizzare un responsabile unico del procedimento che, interpellato su una qualsiasi opera di trasformazione del territorio o di trasformazione degli immobili possa far parlare lo Stato una sola volta in tutte le sue articolazioni.
Questo non c’entra nulla con l’autonomia di cui all’articolo 116. Queste sono iniziative di cui l’Italia avrebbe bisogno e sono iniziative di sburocratizzazione e semplificazione. E non c’è bisogno della speciale intesa di cui all’articolo 116 per realizzare questi obiettivi. Leggi ordinarie vanno alla bisogna abbondantemente. Per cui, se si volesse approcciare a questo argomento, l’argomento della semplificazione e della sburocratizzazione per far vivere meglio i cittadini nelle angustie del procedimento amministrativo e nella consapevolezza che il tempo ha un valore economico, tutti quanti diremmo di sì. Se, invece, la questione viene posta così come è stata posta (basta leggere le intese), viene posta anche con la trattenuta di una quota del gettito fiscale che queste Regioni danno al Paese – è scritto lì, è scritto nelle bozze –, il discorso muta. Il discorso muta e deve mutare, e deve vederci a rappresentare un avamposto di protesta e di contestazione, perché l’idea dell’autonomia è un’idea che si giustificava, per esempio, nel 1919, quando ne scrive Luigi Sturzo, perché ad uno Stato accentratore si rispondeva con la libertà. La libertà di cosa? Di fare localmente le cose che è più semplice fare.
Oggi il concetto del locale è completamente rivoltato. Oggi non esiste il locale, oggi esiste l’Europa e la dimensione continentale. Qualche volta in alcuni settori dell’agire umano addirittura c’è la prospettiva globale. Per cui, per servire i cittadini e per svolgere opportunamente il proprio compito politico sarebbe il caso di dire, invece, che c’è bisogno di minore autonomia, perché diventa difficile capire cosa localmente può essere risolto meglio, qual è l’argomento che localmente può essere risolto meglio. Invece, sulla base di questa autonomia, che messa così chi direbbe di no all’autonomia? Se ad un uomo dici “tu sarai autonomo”, quell’uomo ti dice “certo, è bellissimo”. Ma in termini contabili che cosa significa l’autonomia in questo progetto lombardo-veneto presentato per noi e per l’Italia? È un problema di contabilità, è un problema di numeri. Non è un problema di sburocratizzazione o di semplificazione. Significa, per esempio, per la sanità – abbiamo fatto i conti soltanto sull’IVA sanitaria – meno 682 milioni, solo sull’IVA sanitaria. È pubblicato sullo studio La finanza territoriale di Rubbettino, al quale ha partecipato un valoroso dirigente di questa Regione, il dottor Pacifico, che cito, è tra i relatori, tra gli scrittori e i redattori di quello studio, rappresenterebbe meno 682 milioni solo per l’IVA sanitaria, il fondo sanitario regionale pugliese.
A questo si aggiunge l’intersezione con il federalismo fiscale, perché arriverà il tempo in cui qualcuno parlerà del federalismo fiscale. Se voi andate a vedere gli atti parlamentari di quando si discusse di federalismo fiscale, vedrete che non c’è un parlamentare meridionale che abbia caratterizzato in termini di protagonismo la sua iniziativa per dire no allo scempio del federalismo fiscale.
Per cui, sempre in sanità, per esempio, ne derivò che la quota di riparto sia assoggettata non soltanto alla popolazione o alla morbilità, ma per esempio alle classi demografiche. Il che vale quanto dire che le Regioni meridionali che in termini di classe demografica hanno popolazione più giovane rispetto a quelle settentrionali, con l’introduzione di queste ulteriori due caratteristiche hanno portato ad uno svuotamento dell’idea di equità e di unità del Paese. Per cui noi, negli ultimi tredici anni, abbiamo avuto, con riferimento a questi parametri, meno 13 miliardi.
Ci sono i numeri e i numeri sono testardi. Noi possiamo mettere in scena tutte le opinioni che vogliamo, in termini letterari o politici; ma di fronte ai numeri e al loro essere testardi non c’è possibilità e non c’è alcuna resistenza.
Della scuola è stato detto ampiamente da altri, la cito per abbreviare il mio intervento. Quanto alle infrastrutture, di recente, senza che si sia detto nulla, la maggioranza del Parlamento nazionale ha approvato all’interno del decreto semplificazioni una cessione delle centrali idroelettriche alle Regioni. Nella neutralità di questa formula legislativa deve essere scritto “alle Regioni settentrionali”, evidentemente, perché io non ho memoria di centrali idroelettriche che insistono sul territorio centro-meridionale. Tale decreto ha comportato, per questa cessione, un vantaggio di 256 milioni di euro l’anno più una quota di energia gratuita. Il che vale quanto dire che queste Regioni, sulla bolletta energetica, ora che andrà a regime questa che è una legge vigente, che è stata votata da questo Parlamento… Significherà che le imprese del nord avranno un vantaggio produttivo, in termini di bolletta elettrica, e questo aumenterà il gap tra il nord e il sud, perché noi non avremo la possibilità di beneficiare di questi interventi di carattere strutturale in materia di energia. Di qui potremmo lungamente analizzare il problema e, nell’analisi lunghissima del problema, arriveremmo sempre alla medesima conclusione.
Per cui, con riferimento alla nostra richiesta al Consiglio regionale, noi richiediamo che sia contrastata questa ipotesi di autonomia. Abbiamo visto le altre mozioni, mozioni meritevoli di attenzione, sulle quali francamente annuncio, almeno per come la vedo io... Non è che ci siano grosse distinzioni, tranne quella dei colleghi del Movimento 5 Stelle in una parte della premessa, lo dico non in polemica con loro, ma per farli riflettere, lì dove evocano una possibilità per l’autonomia. Per quanto mi riguarda, come ho già detto, nel 2019 penso ci sia bisogno di minore autonomia. Comunque, anche concedendo, la valutazione dei livelli essenziali delle prestazioni, se verranno effettuate alla luce della normativa vigente sul federalismo fiscale, noi partiamo svantaggiati anche nella ricostruzione dei livelli essenziali delle prestazioni.
Per cui quell’inciso, che ha un suo valore all’interno dell’idea dell’unità nazionale, è un inciso che va osservato, però, con tutte queste attenzioni. Non si può in maniera quasi acritica accogliere i livelli essenziali delle prestazioni come rimedio per riequilibrare la sorte del Paese, con riferimento ai problemi di carattere fiscale.
Peraltro, ed è l’ultima cosa che dico, il progetto delle autonomie delle due Regioni è un problema, ed è un problema rilevato dall’Istituto Bruno Leoni. Non sono io qua a dirvelo. Il problema è che si chiedono maggiori competenze e poteri. Si chiede anche di trattenere dalla leva fiscale le risorse utili per poter esercitare quei poteri, ma l’unica cosa che non si chiede – questo è un grave danno – è la facoltà fiscale. Uno potrebbe pure pensare di prendersi i poteri, ma se non assume la leva fiscale, le Regioni si presentano alla irresponsabilità, perché i cittadini calcolano la qualità del Governo sulla base dell’esercizio della leva fiscale. Se tu ti prendi i poteri, ma è lo Stato che mette le tasse, c’è il rischio concreto che le Regioni diventino più spendaccione ed aumenti la spesa pubblica, e questa è una cosa terribile. Noi lo diciamo dopo qualche anno, lo diciamo da questo Consiglio regionale, dopo qualche anno in cui – lo ricorderanno i colleghi che erano presenti nella scorsa legislatura – vi fu un periodo in cui le Regioni erano il male assoluto a seguito di Rimborsopoli. Alle Regioni bisognava togliere tutto. Era il tempo delle mutande verdi in Piemonte, era il tempo del Suv nel Lazio, era il tempo dei libri di gossip comprati in Lombardia, scontrini, pranzi, cene.
La Regione Puglia risultò immune da quel processo, però nel giro di due o tre anni, come degli smemorati, ci dimentichiamo quanti problemi e cosa abbiamo pensato delle Regioni con riferimento al riparto dei poteri.
Per cui, ricucendo storia e numeri e tenendo lontano da questo argomento il problema della semplificazione amministrativa e della sburocratizzazione, ci pare di poter dire che siamo di fronte ad un’iniziativa da contrastare. Ho accennato prima che nel 1919 Sturzo chiede l’autonomia. Fu una risposta di libertà allo Stato accentratore. Oggi accentrare è una negazione delle libertà. Per cui, noi abbiamo presentato la mozione affinché resti salda la libertà all’interno dell’unità dello Stato e nella prospettiva del continente europeo.
Speaker : PRESIDENTE.
Collega Marmo, prego. Poi la collega Laricchia.
Speaker : MARMO.
Presidente, intervengo per pochi minuti solo per presentare la mozione, riservandomi di intervenire nella discussione generale con altri elementi.
La nostra mozione parte da un dato sostanziale, che è riferito all’articolo 5 e all’articolo 3 della nostra Costituzione; articoli basilari che dichiarano la nostra Repubblica una e indivisibile e che i cittadini hanno pari dignità davanti alla legge in qualunque luogo essi si trovino.
L’altro riferimento della nostra mozione è alla legge delega n. 42/2009 che pone le basi del cosiddetto ed erroneo federalismo fiscale, che avrebbe dovuto definire, in tempi rapidi, i fabbisogni standard e gli indicatori dei livelli essenziali delle prestazioni.
Si rinvia a libri che sono stati pubblicati recentemente, che raccontano come le varie Commissioni, ad esempio la COPAFF, abbiano valutato o meno questi elementi fondamentali, e cioè siano arrivate ad una conclusione assolutamente assurda, rilevando le infrastrutture esistenti al Sud e definendo il fabbisogno del Sud zero, solo perché queste strutture non c’erano.
Concludiamo, quindi, la nostra mozione con un impegno rivolto al Governo regionale, un impegno che riteniamo sia importante e fondamentale e che vada assolutamente in contraddizione con quanto il Presidente ha avviato nel luglio dell’anno scorso. In pratica, impegniamo il Governo regionale a evitare che i procedimenti per l’autonomia delle Regioni del nord proseguono a danno delle Regioni del sud, contribuendo a creare una frattura più ampia tra le due aree del Paese, a procedere e a sollecitare che vengano definiti i fabbisogni standard, a garantire i livelli essenziali dei diritti fondamentali dei cittadini italiani, definendo i livelli essenziali delle prestazioni, a ridefinire il riparto dei fondi nazionali per sanità, istruzione, mobilità e infrastrutture, a prevedere il fondo perequativo, che fino ad ora non è alimentato come si dovrebbe, e infine – è la cosa più importante – a riaprire una discussione generale sulla funzione delle Regioni.
Io non credo – concordo con chi mi ha preceduto – che si debba andare verso la direzione di accrescere le competenze delle materie, ma debbano andare, invece, ridiscusse perché le Regioni abbiano la certezza delle materie per le quali sono competenti e non lasciare più quel margine di ombra su tutte quelle che sono le materie concorrenti, che hanno determinato la causistica costituzionale molto frequente in questi ultimi anni.
Quindi, rispetto a questo, noi abbiamo presentato questa mozione, ritenendo che possa raccogliere l’adesione dell’intero Consiglio regionale, perché riteniamo che una forte azione debba essere svolta dal Governo regionale e una forte azione di raccordo con le altre Regioni meridionali, con strumenti che sono quelli degli accordi tra le Regioni, ma anche di altri passi in avanti, che diremo nel nostro intervento tra poco. Credo quindi che la mozione agli atti sia a conoscenza di tutti. Svilupperemo altri concetti e altre critiche nel nostro intervento, insieme ai colleghi del mio Gruppo. Grazie.
Speaker : PRESIDENTE.
Grazie, Presidente Marmo.
Consigliera Laricchia, prego.
Speaker : LARICCHIA.
Grazie, Presidente.
Prima di tutto, una doverosa premessa. Se noi siamo oggi qui riuniti a parlare di autonomia e poi di liste d’attesa è probabilmente perché questa maggioranza non è esattamente un esempio di maggioranza coesa e compatta che va dritta all’obiettivo.
Parliamoci chiaro: il fatto stesso di aver diviso in due le giornate di convocazione di questo Consiglio, di aver lasciato ad oggi la discussione sull’autonomia e quella sulla proposta di legge delle liste d’attesa (su cui c’è già ovviamente il Piano nazionale delle liste d’attesa, e quindi un obbligo della Regione Puglia ad adeguarsi), e a domani, invece, i temi più concreti, che incideranno più realmente e immediatamente sulla vita dei cittadini, o meglio aver lasciato a domani i temi su cui la decisione di questo Consiglio farà la differenza, dimostra che oggi abbiamo riunito qui il Consiglio semplicemente per far probabilmente sfogare, giocare, per alcuni giochetti, per degli sfoghi politici, in particolare in seno alla maggioranza.
Questo mi dispiace, ma non è un problema perché il tema è così importante che noi del Movimento 5 Stelle naturalmente non intendiamo sottrarci, anzi, abbiamo dato da subito il nostro contributo, sia per quanto riguarda il tema delle autonomie, sia per quanto riguarda il tema della proposta di legge sulle liste d’attesa.
Per quanto riguarda questo tema, è evidente che il Movimento 5 Stelle ha rappresentato da subito un presidio di salvaguardia del sud Italia al tavolo del Governo. È evidente a tutti, non si può negare, si è visto dal primo momento. Questa autonomia sarebbe dovuta andare in porto già da mesi. In realtà è stata procrastinata a lungo, e soprattutto, il Movimento ha messo dei paletti importantissimi, che salvaguardano il sud Italia e tutte le Regioni che potrebbero essere penalizzate da questa decisione.
Ora, la nostra mozione nasce, naturalmente, dopo aver letto l’esigenza di alcuni consiglieri di questo Consiglio regionale che volevano proporre al Governo di mettersi in contrasto, per usare un termine utilizzato nella mozione, per contrastare la richiesta di autonomia delle altre Regioni. Questo, inutile negarlo o far finta di non vederlo, è impossibile. C’è un’autonomia, una possibilità di richiedere un’autonomia e ci sono stati dei referendum fatti in alcune Regioni. Per cui, questo processo previsto dalla Costituzione qualunque Regione può richiederlo e portarlo a compimento. Quindi, chiedere a questo Governo di contrastare un processo di autonomia, lo possiamo anche fare per divertirci, ma di fatto è una cosa irrealizzabile.
La nostra proposta nasce dal renderci conto delle preoccupazioni di questi consiglieri che hanno scritto la prima mozione, delle preoccupazioni dei cittadini, naturalmente, rispetto a questo percorso di autonomia delle altre Regioni, delle preoccupazioni nostre in primis, delle preoccupazioni del movimento che ha messo questi paletti e che noi stessi mettiamo qui, nero su bianco, in questa nostra mozione.
Sostanzialmente, l’autonomia è un processo previsto per legge. Qualunque Regione può richiederlo, ma è importante come viene realizzata. Ecco perché noi chiediamo assolutamente di impegnare il Presidente della Giunta regionale a farsi portatore, nelle opportune sedi di confronto, prima di tutto dell’esigenza importantissima e imprescindibile di determinare i livelli essenziali di prestazione che determineranno i fabbisogni standard.
La determinazione dei livelli essenziali di prestazione e di fabbisogni standard è fondamentale prima di tutto per non permettere mai che il processo di autonomia di una Regione, legittimamente previsto dalla Costituzione, vada a danneggiare altre Regioni e anche in merito al dubbio che sollevava il consigliere Amati, cioè rispetto al fatto che se sposto la competenza dal denaro, sostanzialmente, quindi se la competenza è della Regione e la fiscalità, la parte economica, invece, rimane in capo allo Stato, può svincolare la Regione dal suo senso di responsabilità, quindi creare una Regione più spendacciona. In questo caso, ovviamente, voglio ricordare che quello che accadrebbe prima di tutto è che a risentirne sarebbe il servizio. Quando un ente spreca soldi ne risente prima di tutto un servizio. Credo che questo avreste dovuto impararlo. Basta guardare, ad esempio, una decisione che stiamo per prendere in questi giorni, ciò che è accaduto in ARIF. Non è un caso che ARIF abbia un sacco di problemi con il personale, abbia un sacco di problemi di bilancio. Guarda caso, contestualmente, è proprio il servizio agli agricoltori, il servizio forestale che manca e che ne risente immediatamente, perché le due cose vanno sempre insieme.
Quando c’è un cattivo utilizzo delle risorse non è solo un problema economico, ma immediatamente ne risente il servizio. Individuare i fabbisogni standard e i livelli essenziali di prestazione permette allo Stato di intervenire nel momento in cui un servizio giunge a un livello tale di bassa qualità da essere commissariato, in qualche modo, e interviene lo Stato a ripristinare il diritto dei cittadini a quel livello essenziale di prestazione. È importante, però, che queste decisioni non vengano prese – e quindi vengo al secondo punto all’ordine del giorno – solo tra quelle Regioni che stanno chiedendo l’autonomia, è ovvio che a quel tavolo devono esserci tutte le Regioni, proprio perché le altre Regioni che non stanno chiedendo l’autonomia devono poter dire la loro, devono poter calcolare e intervenire in tempo nel momento in cui si rendono conto, come ci stiamo rendendo conto tutti, che una richiesta di autonomia di una Regione può danneggiare un’altra Regione che non chiede l’autonomia.
Quindi, noi abbiamo chiesto, ed è messo anche qui nero su bianco nella nostra mozione, che l’individuazione di questi fabbisogni avvenga attraverso il confronto tra i rappresentanti di Stato e di tutte le Regioni italiane, non solo di quelle che la stanno chiedendo, ad esempio attraverso la Commissione tecnica fabbisogni standard che già esiste. Questo ha senso per due motivi, prima di tutto per quello che vi ho detto, per permettere a tutte le Regioni di calcolare gli effetti dell’autonomia delle altre Regioni su loro stesse e in secondo luogo evitare il proliferarsi di queste Commissioni comitati. Nel momento in cui un’altra Regione volesse chiedere l’autonomia, che dobbiamo fare, un’altra Commissione? E se ne chiede una seconda o una terza, altre Commissioni ancora?
Ce l’abbiamo già la Commissione. Convogliamo tutto il percorso su questa Commissione, che fa il lavoro una volta per tutte sostanzialmente.
Importante è portare al centro il Parlamento di questa decisione, che non deve semplicemente ratificare un’intesa. Su questo sapete bene che c’è una discussione, c’è un’interpretazione dubbia sulle procedure. Per noi è molto importante che sia il Parlamento. Sarebbe assurdo, non solo perché ovviamente sarebbe facile liquidare la mia proposta come quella di una forza politica che in Parlamento è in maggioranza e che quindi vuole dire la sua più magari di altre forze politiche. Assolutamente no.
Chi mi conosce sa bene che non farei proposte così parziali, così di parte. È importante perché il Parlamento è l’Assise che più di tutte rappresenta lo Stato italiano. Quindi, è assolutamente un controsenso escluderla da queste decisioni, escluderla e utilizzarla come un passacarte di una decisione presa altrove.
Il Parlamento rappresenta adeguatamente i territori del nostro Stato e quindi, di conseguenza, è lì che deve avvenire non semplicemente la ratifica, ma la discussione, l’integrazione, gli emendamenti e tutto quello che è necessario all’approvazione di un percorso e di una richiesta di autonomia da parte di alcune Regioni.
So bene la sofferenza che spesso il consigliere Amati, che ha firmato in particolare la prima mozione, ha nei confronti della Costituzione. Dobbiamo dircelo, non è la prima volta che giungono proposte di legge che in qualche modo si scontrano con i paletti della Costituzione. Penso, ad esempio, alla famosa Sturnus vulgaris, che fu la prima che mi colpì molto, ma poi ci sono state altre occasioni, che ha ricordato anche il consigliere Bozzetti, sempre simpaticamente, ovviamente, in Aula.
Quello che chiedo è di renderci tutti un po’ conto che, se leggiamo e diamo un voto favorevole a una proposta che si scontra con la Costituzione e che non è realizzabile, abbiamo passato una giornata divertente, abbiamo fatto qualche prova di forza in maggioranza, abbiamo giocato un po’, abbiamo fatto i vecchi politici d’altri tempi che si alzano e fanno dei discorsi, facendo della retorica il loro principale strumento di politica, ma di fatto non abbiamo aiutato minimamente questo territorio.
La Costituzione esiste e va rispettata naturalmente, finché qualcuno non riesce, non prova a cambiarla in ciò che ritiene che non funzioni, quindi se davvero si vuole aiutare questo territorio io ritengo che sia assolutamente necessario affiancare l’attività di grande salvaguardia del Mezzogiorno d’Italia che sta facendo il Movimento 5 Stelle a questo tavolo su questo tema, e la nostra mozione va assolutamente in questa direzione. Tra l’altro, mi sono resa conto con piacere che non è molto diversa dalle altre mozioni, a parte quella del collega Amati, perché sostanzialmente ricalca gli stessi temi e gli stessi paletti.
Voglio anche ricordare che i tentativi di autonomia sono stati fatti e molto spesso si sono anche scontrati con la Costituzione e con gli organi che li dichiaravano incostituzionali, proprio perché magari non prevedevano anche questi passaggi. Questo è un percorso concreto e reale, che tiene conto dell’esigenza e della legittima richiesta di alcune Regioni, ma che soprattutto non permette a nessuno di attaccare e di penalizzare il nostro Sud Italia, la nostra Regione. Altrimenti, in particolare con l’esenzione del gettito fiscale come indicatore che dovrebbe stabilire le risorse da attribuire alle Regioni, il che è ridicolo, perché finirebbe per dare soldi, per dare risorse a chi è già ricco e darne meno a chi non lo è, perché il gettito fiscale significa che paga le tasse sostanzialmente chi ha più reddito, questo è alla fine dei conti il discorso da fare, se noi vogliamo fermare, vogliamo migliorare questo percorso lo possiamo fare assolutamente con intelligenza. Altrimenti, come da provocazione lanciata già attraverso tutti i media, non si capisce perché non dovremmo a quel punto regionalizzare il debito, se tanto dobbiamo utilizzare un indicatore economico per determinare le risorse da affidare alle Regioni.
Di conseguenza, vi invito a votare questa proposta, che è assolutamente realistica, possibile, incisiva e che soprattutto aiuta davvero il nostro sud Italia, perché è ovvio che ne ha bisogno, e noi siamo pronti sempre a difenderlo.
Speaker : PRESIDENTE.
Collega Laricchia, non l’ho interrotta prima, ma lo preciso adesso.
La ragione per cui l’ordine del giorno è stato così programmato dipende semplicemente dal fatto che alle 16,30 c’è l’importante iniziativa del Premio giornalistico dedicato a Tommaso Francavilla, altrimenti avremmo seguito un altro ordine. Quindi, non ci sono né dietrologie, né tattiche, come sa benissimo la Capogruppo Di Bari, che segue diligentemente tutti i lavori della Conferenza dei Presidenti dei Gruppi. Lo dico solo per evitare dietrologie su cose che non esistono.
La parola al consigliere Caroppo.
Speaker : CAROPPO.
Grazie, Presidente.
Dopo quello che ho visto in questi giorni, credo di essere l’unico a fare un intervento probabilmente fuori dal coro. Al di là dell’appartenenza politica, come abbiamo avuto modo di vedere, confrontandoci anche su alcuni organi di informazione, credo che la vicenda debba provare ad esulare dalle appartenenze di carattere politico, e soprattutto anche da appartenenze di carattere geografico. È troppo semplice, infatti, ridurre il dibattito in questione a parlare di Regioni del nord e Regioni del sud, di autonomia del nord e autonomia del sud.
Io riconosco un merito, e credo sia una delle poche volte che lo faccio, al Presidente Emiliano, per aver invece provato ad interpretare, a suo modo. Su questo le sue premesse da parte mia sono condivisibili; meno condivisibile è il modo con cui invece provava ad esplicare la strada su cui ha deciso di interrompere questo percorso, soprattutto frutto delle pressioni da parte della sua maggioranza che del tema vuole farne più una questione di propaganda politica che di approfondimento nel merito.
Diceva bene prima qualcuno che mi ha preceduto: è fondamentale che nel processo previsto dalla Costituzione, all’articolo 116 della Costituzione, tutte le Regioni abbiano in qualche modo un ruolo. È quella la giusta premessa da cui il Presidente Emiliano partiva. È bene sempre ricordare a tutti, lo ricordo all’Aula, che noi ci si muove all’interno di un dettato costituzionale preciso, modificato dal Titolo V del 2001, come vi ricorderete, dall’allora maggioranza di centrosinistra, il Governo Amato, che peraltro elaborava il lavoro fatto precedentemente dal Governo D’Alema. In quell’occasione fu approvato il famigerato, per alcuni versi, Titolo V su alcune competenze, ma nella parte specifica – credo sia importante partire dal dettato normativo – l’articolo 116 della Costituzione determina innanzitutto le Regioni a Statuto speciale. Perdo un minuto per leggerlo a tutti i colleghi, perché secondo me è una base di partenza essenziale del ragionamento: “Il Friuli-Venezia Giulia, la Sardegna, la Sicilia, il Trentino Alto Adige Südtirol, la Valle d’Aosta dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia secondo i rispettivi Statuti speciali adottati con legge costituzionale. La Regione Trentino Alto Adige Südtirol è costituita dalle Province autonome di Trento e di Bolzano”.
Il comma terzo, quello di cui dibattiamo oggi, sull’autonomia differenziata, prevede invece “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia concernenti le materie di cui al terzo comma dell’articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo, lettera l), limitatamente alle organizzazioni di giustizia di pace, possono essere attribuite ad altre Regioni con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei princìpi di cui all’articolo 119. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata”.
In sintesi, credo sia la cosa più importante, il momento storico ci dovrebbe, invece, portare a riflettere se l’articolo 116, in tutta la sua composizione, anche nel primo comma, in cui continua a prevedere una forma di autonomia speciale, diversa rispetto alla nostra forma di autonomia... Nel senso che noi siamo una Regione a Statuto ordinario. In questo caso, ricorrendo all’utilizzo dello strumento dell’articolo 116, comma terzo, potrebbe avere ulteriori forme di autonomia.
Chiedo al Presidente Emiliano se, invece, tutte le Regioni non ordinarie ritengano sia opportuno oggi fare la vera battaglia, che è il cuore del vero regionalismo oggi, se abbia ancora un senso, a distanza di quasi cinquant’anni, ormai, dall’istituzione delle Regioni e da settanta da quando è stata prevista la Costituzione, soprattutto in questa parte, nella parte dell’articolo 116, comma 1, se abbia ancora senso avere delle Regioni a Statuto speciale che abbiano risorse straordinariamente più grandi rispetto a quelle delle Regioni ordinarie. Questo vale tanto per le Regioni del nord, che possono essere la Valle d’Aosta, il Friuli Venezia Giulia o il Trentino Alto Adige Südtirol, ma vale anche per la Sicilia e la Sardegna.
È ancora spiegabile una tale sproporzione? E soprattutto, alcune di queste Regioni hanno dimostrato che l’utilizzo di tante risorse ha portato realmente un miglioramento delle condizioni di vita dei loro cittadini?
Credo che questo sia il cuore della battaglia. Tutte le Regioni a Statuto ordinario potrebbero, al contrario, utilizzare il “nuovo” articolo 116, vecchio di 18-19 anni, l’articolo 116, comma terzo, come modificato dalla riforma costituzionale, per smontare esattamente quell’ingiustizia ormai superata, secondo me, dal tempo e dalla storia e consentire, invece, di cambiare il totem del regionalismo, dell’autonomia per l’uniformità ed avere, invece, un vero autonomismo che vada a differenziare ed a dare capacità alle Regioni che sono in condizione di farlo, di dare capacità di poter avere maggiore autonomia e, di conseguenza, per la parte relativa ai maggiori poteri di carattere amministrativo e legislativo che avranno, maggiori risorse economiche, per consentire ai cittadini in qualche modo di migliorare il loro livello di vita.
È bene anche sottolineare che non è un caso se gran parte… Dicevo, la valutazione se ha un senso il regionalismo speciale o il regionalismo delle Regioni a Statuto ordinario.
Dobbiamo chiederci – lo diceva anche il collega Amati – se ancora oggi ha un senso, se siamo tutti convinti che ha ancora un senso il regionalismo. Vedo, infatti, da più parti una critica continua nei confronti delle Regioni. Possiamo pensare a qual è la dimensione ottimale del territorio regionale?
Però vedo, in nuce proprio al ragionamento, da parte di alcuni un contrastare l’essenza stessa della Regione e fare un’equiparazione per cui i sistemi regionali sono sistemi inefficienti.
Credo che, invece, bisogna volgere lo sguardo alle Regioni amministrate da vari colori politici e non è un caso se le richieste di maggiore autonomia provengano dalla Lombardia e dal Veneto, per anni amministrate dal centrodestra, ma provengano anche dall’Emilia-Romagna, storicamente da sempre amministrata dal centrosinistra.
Andrebbe chiesto ai cittadini di queste regioni se ritengono che i servizi che a loro vengono offerti da parte del loro sistema regionale in tema di sanità, in tema di infrastrutture, in tema di trasporti o in tema di ambiente, li ritengano o meno di qualità. Non è un caso, forse, se queste Regioni non cambino colore politico. Sono amministrate da lungo tempo dal centrodestra il Veneto e la Lombardia e da lungo tempo l’Emilia-Romagna, ma anche la Toscana da maggioranze di centrosinistra.
Evidentemente i cittadini ritengono che quell’offerta politica, soprattutto quella gestione, al di là dei colori politici, sia una gestione della Cosa pubblica capace ed efficiente, che asseconda le necessità.
Non è un caso analizzare anche l’esito elettorale del 4 marzo. Se al Sud c’è stata l’esplosione della forza politica che rappresentano i colleghi del Movimento 5 Stelle in maniera così omogenea in tutti i territori da Roma in giù, io credo che non sia legata all’aspettativa del reddito di cittadinanza o alle condizioni di disagio sociale che esistono in maniera diffusa nel Sud, ma sia una risposta alla cattiva amministrazione che tutte le Regioni del Sud Italia, nella stragrande maggioranza dei casi per decenni amministrate dal centrosinistra, hanno dimostrato. E la risposta del 4 marzo è una risposta di contrarietà a una cattiva gestione non sul livello nazionale. La partita il cittadino, che siano elezioni politiche, europee o regionali, oggi più che mai la dà nei confronti dei governanti in generale quando non vede soprattutto i servizi principali essere offerti dai loro rappresentanti.
Quindi, Presidente, io credo che l’aver interrotto questa sua idea, da certi punti di vista condivisibile, da altri meno, perché era giusta la premessa di sedersi a quel tavolo insieme a tutte le altre Regioni, poi lei lo declina a suo modo, un regionalismo differenziato, lei ritiene che la maggiore autonomia debba essere utilizzata per interdizione… Leggevo le sue volontà e lei voleva che la Puglia avesse più autonomia, più competenze, magari in tema ambientale, magari in tema di gestione di alcuni settori specifici, però dalle sue parole sembrava che la Puglia dovesse avere più potere per interdire ciò che lo Stato magari nei confronti di una Regione, riottosa in alcuni casi, vuole “imporre”. I temi a cui lei si riferiva erano principalmente i temi ambientali, dall’Ilva alle trivelle, alla TAP e a tanti altri.
Io credo che, invece, il protagonismo della Regione Puglia dovrebbe essere diverso, soprattutto di una Regione che fino a qualche decennio fa era considerata la locomotiva del Sud. Era una Regione considerata, secondo tutti gli standard, diversa rispetto ad un quadro purtroppo omogeneo, ma verso il basso, delle altre regioni del Sud, condizione sulla quale la Puglia, invece, spiccava proprio perché aveva dimostrato di avere una buona capacità di governo e un tessuto socioeconomico in condizione di potersi agganciare al motore delle aree più sviluppate dell’Italia.
Se anche la capacità degli amministratori della Puglia in generale è storicamente apprezzata, non è un caso che la Puglia sia stata una delle pochissime Regioni a non essere colpita da quello scandalo riguardante la gestione dei Gruppi, delle somme dei Gruppi, una piccola goccia nell’oceano delle risorse pubbliche, che credo testimoniasse la capacità di trasmettere buona amministrazione.
Come ho detto l’altra volta, venendo in questo Consiglio regionale da neofita mi rifacevo ai consigli su come utilizzare in maniera appropriata quelle risorse, avvalendomi dei consigli dei colleghi più esperti. In quell’occasione avevo al mio fianco, nell’Ufficio di Presidenza, il collega Marmo, a cui spesso e volentieri chiedevo qualche suggerimento.
Questo per dire che io credo che noi stiamo mancando di raccogliere una sfida. Un nostro collega, che è stato seduto in questi banchi nelle legislature precedenti con il centrodestra, il collega Tonio Tondo, giornalista, spesso nei suoi interventi coglie quanto di buono invece poteva esserci, cosa può rappresentare il regionalismo differenziato e quanto invece le Regioni del sud assisteranno in maniera passiva a questo processo, non raccogliendo la sfida.
Allora sì che il regionalismo – temo –, di fronte ad un atteggiamento piagnone o vittimistico da parte delle Regioni del sud potrebbe essere derubricato, e in quel caso essere attuato, pur sempre nei limiti della Costituzione, in maniera tale che al sud non potrà portare benefici. E non ne approfitteranno le Regioni del nord, è bene sempre ricordarlo: lo dice il Presidente della Costituzione emerito, Onida.
In realtà, questa autonomia differenziata parte da un equivoco grande: si pensa che verranno sottratte delle risorse ad altre Regioni, mentre il monte rimane uguale, ma si differenzia la titolarità della gestione.
Quanto a quello che diceva il collega Amati sul fondo sanitario, purtroppo, caro collega, fa bene alla propaganda. Va bene tirare le somme, va bene anche lo studio che lei ha citato, ma è evidente che non può applicarsi, perché quello si deve applicare all’interno dell’articolo 116 della Costituzione, comma terzo, che si richiama all’articolo 119, in cui si dice che l’autonomia differenziata va applicata all’interno dell’unità della nazione, e soprattutto non determinando, anche e soprattutto sulla base della legge n. 42 del federalismo fiscale, in cui si esige che lo Stato dovrà sviluppare la perequazione per i territori con minore capacità fiscale per abitante ed interventi integrativi per agevolare lo sviluppo territoriale nelle aree più sottosviluppate. È evidentemente uno strumento, un argomento di propaganda utilissimo per la campagna elettorale, ma, al contrario, non può essere assolutamente considerato quello che vedrà la luce.
Di certo è fondamentale che su quel processo ci siano gli occhi puntati. Non mi spavento che vengano attribuiti poteri in tema di beni culturali. Non è quello il problema. Il problema è, invece, avere la certezza che la Regione Lombardia, la Regione Veneto, la Regione Friuli Venezia Giulia, come già fa... Credo che a molti sfugga che la Regione Friuli Venezia Giulia gestisce già il servizio sanitario fuori dal sistema del Servizio sanitario nazionale. Questo lo ha fatto con legge. È già disciplinato con un’intesa con lo Stato a Costituzione vigente.
Abbiamo disarticolato il sistema sanitario? O vedere la Regione Veneto, o meglio la Provincia di Trento che già gestisce un tema come quello dell’università, e lo gestisce a Costituzione vigente. Anche questo non ha disarticolato sicuramente il sistema dell’istruzione. Credo che vada riportato, invece, un confronto nel merito, evitando un dibattito di carattere prettamente ideologico, politico e strumentale.
Concludo. Mi sono poche volte appassionato alle mozioni presentate in quest’Aula, mozioni che spesso e volentieri si sono ridotte solo ed esclusivamente ad un aspetto di dibattito privo di qualsiasi tipo di effetto concreto. Serve, magari, al comunicato stampa in cui ognuno di noi si diletterà tra qualche minuto. Finiremo i nostri interventi, faremo il comunicato stampa e penseremo di aver prodotto il miglior risultato possibile. Anche queste mozioni, se le intendiamo solo come dibattito di carattere politico, credo che non svilupperanno nessun risultato.
Preannuncio la contrarietà nel merito delle mozioni, ma ritengo sia fondamentale che il Presidente Emiliano, correttamente, come aveva pensato in una fase iniziale, con punti di vista rispetto ai miei diametralmente opposti, segua il percorso e immaginare che la Regione, invece, su alcuni segmenti amministrativi possa decidere di richiedere realmente maggiore potere e maggiore autonomia. È chiaro che il paradosso è che lo chieda magari una Regione che già non fa bene quello che dovrebbe, quello che già secondo la nostra Costituzione dovrebbe svolgere e realizzare. È chiaro che chiedere più cose quando già non si fanno bene quelle che dovremmo fare al meglio diventa quasi paradossale.
Innanzitutto facciamo bene le nostre competenze, avviamo un percorso che possa rimettere in discussione, e torno qui alla mia premessa, invece quello che è un regionalismo differenziato, questo sì, ingiustificato, con la differenza tra Regioni a Statuto speciale e Regioni a Statuto ordinario, quello che va profondamente rivisto e da quello la Puglia ne avrebbe assolutamente tanto da guadagnare.
Speaker : PRESIDENTE.
Abaterusso.
Speaker : ABATERUSSO.
Grazie, Presidente.
Comincio esattamente da dove ha terminato il collega Caroppo, il quale chiedeva al Presidente Emiliano di continuare sulla scia di quella che era una iniziativa di qualche tempo fa, a rimorchio della grande richiesta avanzata da parte delle Regioni del nord della cosiddetta autonomia differenziata, dicendo esattamente il contrario. Il Presidente Emiliano spero, alla luce di una mozione largamente condivisa e di un voto a stragrande maggioranza di questo Consiglio regionale, si metta alla testa di un fronte largo che non riguardi soltanto il Mezzogiorno, le Regioni del Mezzogiorno, ma riguardi gran parte del nostro Paese, per evitare che si vada fino in fondo in questo disegno scellerato portato avanti dalla Lega di Salvini.
Parliamoci chiaro: oggi il tentativo, anche in questo Consiglio regionale, ma soprattutto della grande stampa, nel momento in cui si parla della autonomia cosiddetta differenziata, è quello di derubricare questa grande questione a una questione di carattere amministrativo sul funzionamento più o meno dei governi dei territori.
Credo che questo sia un errore voluto, derubricare questa che, invece, a mio parere, è una grande questione politica nazionale. Non è una questione di carattere amministrativo, ma è una grande questione politica nazionale, che mette a rischio l’unità del nostro Paese, che mette a rischio una storia del nostro Paese perché altro non è che la continuazione, sotto parole più nobili, di quella che è stata la battaglia storica della Lega Nord Padania degli anni Novanta. Allora si chiamava “secessione”. Poi fu modificata in devoluzione (devolution) e oggi si chiama autonomia differenziata, ma la sostanza è sempre quella, ovvero prendere le Regioni ricche, quelle che hanno più soldi, andarsene da un’altra parte e staccarsi dal fardello pesante del Mezzogiorno e della parte più povera del Paese.
Badate, non è soltanto una questione che riguarda una parte politica, è una questione che riguarda una parte di classe dirigente di questo Paese, del Nord soprattutto, non solo leghista, che se ne vuole andare, come dicevo, per conto suo, senza il fardello pesante del Mezzogiorno d’Italia, che non è una cosa nuova, è una cosa che ci viene da secoli di storia del nostro Paese.
Noi dobbiamo avere la forza di dire “no” a questa questione perché, lo ripeto, è in gioco l’unità nazionale e sostanziale di questo Paese e sono in gioco le ragioni fondanti per cui questo Paese è andato avanti fino ad oggi.
Tra l’altro, vorrei cercare umilmente di evidenziare che di questa grande questione che mette a rischio l’unità del Paese ne parlano in pochi. Se voi andate a parlare ai cittadini di questa questione, nessuno ne sa nulla. Anche perché i partiti in Parlamento sono divisi: il Movimento 5 Stelle è spaccato su questa questione, il Partito Democratico è più che spaccato, e tra l’altro paga lo scotto del fatto che chi ha messo la firma sull’accordo con le tre Regioni richiedenti la cosiddetta o la sedicente autonomia differenziata è stato proprio il Governo prima di questo, quattro giorni prima del voto, con il Presidente del Consiglio e il sottosegretario Bressa, che hanno sottoscritto questo accordo, che secondo me è un accordo scellerato.
Questa autonomia differenziata che cos’è? Detto in soldoni, in parole povere, significa più soldi e più potere per le Regioni ricche e meno soldi e meno potere per le Regioni povere, e l’affermazione di un principio sovversivo, quello cioè che chi abita in alcuni territori ha più diritti di chi abita in altri territori, nei territori più poveri. Questo è un principio sovversivo, la cosiddetta “secessione dei ricchi”.
Il professore Viesti ha scritto un bellissimo libro sull’argomento e l’ha definita la secessione dei ricchi, cioè i ricchi contenti di quello che sono e stanchi di dover dare sostegno anche a quelli che sono meno ricchi di loro, anzi che sono poveri, hanno deciso di staccare la spina e di andarsene per i fatti propri. Questo è un disegno che noi dobbiamo tentare in tutti i modi di bloccare.
Caro Andrea (mi rivolgo al collega Caroppo), chi si sta occupando della questione, la Lega Nord, ha indicato una rappresentante che deve seguire questa vicenda, che è la ministra Stefani. La quale, se voi andate sul suo profilo Facebook, ha il simbolo del Leone di San Marco, che dice già da quale parte sta.
Cosa dice la proposta, che peraltro è sconosciuta? Io vorrei sottolineare il fatto che il Parlamento, i parlamentari, i senatori e i deputati, se non vanno a spulciare carte che stanno altrove, ad oggi sull’argomento non sanno nulla. Non perché non abbiano la capacità di comprendere, ma perché non c’è nessun documento depositato in Parlamento.
L’accordo di cui si discute prevede che il Veneto, come la Lombardia, debba avere 9 su 10: il 90 per cento del gettito fiscale se lo trattengono per fatti loro, senza condividerlo con le altre Regioni. Tutto il contenuto di questo accordo è sconosciuto agli altri. C’è una Commissione di lavoro composta da diciotto persone, nove nominate dal Governo e nove nominate dalla Regione Veneto, per esempio. Le nove nominate dal Governo sono state nominate dalla ministra leghista Stefani; i nove nominati dalla Regione sono altri nove leghisti, quindi è una cosa che si fanno tra di loro.
Su questo argomento, ristretto a poche persone, si gioca il destino del nostro Paese, perché su questo argomento si fa o si disfa l’Italia. Se dovesse essere approvato questo accordo di cui si sta parlando, succede che la scuola in quelle Regioni è completamente staccata dal rapporto con lo Stato italiano, i professori e tutti i dipendenti della scuola diventano dipendenti, i presidi diventano dipendenti, hanno la facoltà di scegliere, ma siccome le Regioni sono più ricche e possono pagare di più, oggettivamente sarebbero richiamati da una maggiore…
Così pure per la sanità. Addirittura, le Regioni autonome avrebbero la facoltà di un loro prontuario farmaceutico completamente diverso rispetto a quello delle altre Regioni, così come hanno la possibilità di avere una politica industriale completamente diversa, così come ha già chiesto di assumere nel proprio patrimonio il tratto di Autostrada del Sole che passa per il suo territorio, la Lombardia […] un vero atto di divisione del Paese, che peraltro può produrre come risultato il fatto che, siccome loro sono Regioni più ricche, potrebbero, sì, lì applicare la cosiddetta “flat tax”, che è stata oggetto della campagna elettorale del centrodestra e della Lega, perché lì, avendo più soldi rispetto alle altre Regioni, potrebbero lavorare per ridurre le tasse.
Noi abbiamo bisogno, Presidente, consiglieri, colleghi, invece di ostacolare questo progetto e di instaurare, a partire da oggi, da una possibile approvazione di una mozione di larghissima maggioranza, una grande rivolta politica e morale in questo Paese, a partire proprio dalla Puglia. Noi dobbiamo rompere questo patto, e lo possiamo rompere solo e soltanto se non pensiamo che questa sia una battaglia soltanto del sud. Non è vero che al nord sono tutti allineati e coperti dietro queste proposte. C’è tanta gente nel mondo imprenditoriale, professionale, nella società civile del nord che pensa che il Mezzogiorno debole e palla al piede dell’Italia non sia una cosa positiva neanche per quelli che abitano al nord e non sono d’accordo a rompere il patto di solidarietà e sussidiarietà che è stato – come dicevo prima – l’elemento fondante della nostra Repubblica.
Noi abbiamo bisogno di una grande mobilitazione nel mondo della scuola, dove non sono totalmente d’accordo, anzi la stragrande maggioranza non è d’accordo su questo indirizzo che sta prendendo la maggioranza di Governo, nel mondo della sanità, nel mondo sindacale, nel mondo della chiesa cattolica, nella società civile.
Andiamo decisamente all’approvazione di un qualcosa che si opponga, che faccia in modo che da qui, da questo Consiglio regionale parta un allarme a tutto il Paese che cerchi di bloccare un accordo scellerato che va non soltanto contro gli interessi del Mezzogiorno, ma contro gli interessi dell’unità del Paese.
Speaker : PRESIDENTE.
Romano. Vi chiedo di contenervi. Caroppo si è preso tutti i venti minuti del Gruppo misto. Prendi dieci minuti di Abaterusso.
Speaker : ROMANO Giuseppe.
Mi prendo i dieci di Pendinelli e i dieci di quelli di là. Quindi, posso parlare per quaranta minuti. Inoltre, oggi ho la delega ad intervenire a nome dei colleghi Pisicchio, Leo Di Gioia, Romano, Paolo Pellegrino. Non so se ho dimenticato qualcuno. Zinni Sabino, chiedo scusa. Il più importante di tutti l’ho dimenticato. Quindi, presumo di avere diritto a qualche secondo in più, non minuto.
Credo che, a differenza di qualche collega, la discussione di questa mattina sia estremamente importante. Non è la retorica che conclude un dibattito sulle grandi questioni del mondo. Lo dico da uomo del centrosinistra con una storia alle spalle, perché il centrosinistra ha molte responsabilità rispetto alle scelte su un regionalismo, scelte che sono state fatte negli ultimi vent’anni.
Lo dico perché un Governo con la ministra Bindi attuò la cosiddetta spesa storica dalla quale si partì per subire come Regioni, come Mezzogiorno, una serie di tagli. Poi il Titolo V, poi le modifiche al Titolo V fatte dal Governo Gentiloni prima di andare via.
Faccio questa premessa per dire che oggi il nostro approfondimento, le nostre conclusioni devono guardare alla Puglia. Dopo la Puglia devono guardare al Mezzogiorno del Paese, perché in tutte queste scelte che sono state compiute negli ultimi venti anni abbiamo la dimensione nazionale delle appartenenze, e non voglio dire altro, che ha guardato il tema di un regionalismo, di un decentramento dello Stato e così via con occhi particolari, con un’attenzione verso la questione settentrionale che si contrapponeva – sto parlando degli anni Novanta – alla questione meridionale. Abbiamo bucato e oggi forse è il caso di incominciare a ragionare in modo diverso.
Oggi possiamo commettere due errori: quello di far finta di niente e di considerare questa discussione general generica, che non conclude su nulla, e quello di guardare e affrontare l’argomento con le quattro mozioni, i quattro punti di vista, che rendono debolissima la Puglia, rendono la Puglia debolissima rispetto all’appuntamento io dico irreversibile che abbiamo tutti di fronte.
Guardiamo le tre Regioni che hanno fatto la richiesta formale. Non sono tutte e tre la stessa cosa e non fanno la stessa richiesta, ma guardiamo anche alle altre sette Regioni che hanno avanzato l’esigenza di un regionalismo. Guardiamo anche il voto che si è espresso in queste Regioni, la delega che è stata data ai loro rappresentanti di Governo, ai loro Presidenti di Giunta. Il voto della Lombardia mette in difficoltà alcuni di noi. Se non ricordo male, è un voto dato alla unanimità, ove lo stesso voto è stato dato dalla Regione Emilia-Romagna. Sarebbe auspicabile che la Puglia desse identico voto non alle rappresentanze istituzionali, ma al Presidente della Giunta regionale, il massimo organo esecutivo, io dico all’unanimità. Ci riusciamo? O almeno con la maggioranza più ampia possibile. Io leggo le cose che dobbiamo fare con questo taglio, con questa ottica.
A me non convince l’idea della macroregione. Io l’ho combattuta al referendum qualche mese fa, la macroregione. La dimensione burocratico-amministrativa delle Regioni non mi convince. L’ho combattuta. È stato un errore. Né possiamo richiamare l’Europa che, nella globalizzazione, è obbligata a trovare nicchie di rappresentanza territoriale se vuole mantenere l’idea della globalizzazione, sul versante sociale, sul versante politico e sul versante del reperimento delle risorse finanziarie del sistema. Questo è un fatto ineludibile. Non possiamo rimuovere questi aspetti.
Allora regionalismo differenziato, e cioè ciascuna Regione si ritaglia un’area di autonomia e di autodeterminazione su competenze specifiche. Altri nelle mozioni hanno richiamato gli articoli 116 e 117 della Costituzione, naturalmente, che sono il baluardo per tutelare la titolarità e l’unitarietà del sistema nazione, del sistema Stato.
Il dibattito pugliese si è sviluppato sulla notevole iniziativa della prima mozione che è stata presentata, si è sviluppato un dibattito che ha coinvolto personalità politiche, il professore Gianfranco Viesti e altri, che hanno dato vita a riflessioni più o meno importanti. Però, il dibattito che contrappone ed esalta gli elementi divisivi è distonico rispetto all’obiettivo che la Puglia deve avere, quello che trova la massima convergenza in una delega piena a chi deve rappresentare la Puglia, non la maggioranza. Chiudere con un voto di maggioranza non serve a niente, ma chiudere con un voto ampio e possibile che dia i frutti. Quindi, noi ci dobbiamo unire, dobbiamo costruire un fronte politico trasversale su una piattaforma meridionalista, dobbiamo definire una delega, un mandato chiaro non alle rappresentanze istituzionali, ma al Presidente della Giunta regionale, al Presidente Michele Emiliano, che significa dopodomani, perché questa non è una partita che si chiude in questa legislatura. Inizia adesso e avrà lo sviluppo nei prossimi anni. Quindi, è possibile che possa e debba essere sviluppata da altre politiche, da altre maggioranze, da altri rappresentanti.
Chiariamo intanto che il negoziato avviato dalle tre Regioni, anche qua una parola ci vuole, Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, non è la stessa cosa per tutte e tre le Regioni. Abbiamo un federalismo a tradizione leghista, con un’evidente accezione negativa. Andrea, gettito fiscale che rimane per il 90 per cento sul territorio che lo esprime? Non so che cosa vuol dire, se non destrutturare il sistema Italia, anche dal punto di vista del prelievo fiscale. Ma penso anche alle materie di competenza specifica definite dalla stessa Costituzione: non sono materie concorrenti, sono materie esclusive, che se toccate minano l’unitarietà del Paese, dello Stato, dell’Italia.
Lombardia e Veneto vanno verso un federalismo che è altra cosa rispetto al regionalismo, differenziato o autonomista, rispetto al regionalismo, che significa aumentare i poteri alle Regioni, con un punto di equilibrio dello Stato, sul versante fiscale ed anche sulle materie. Il primo, il regionalismo differenziato, si caratterizza per spinte secessioniste, come ho detto prima. Le tocchiamo quando non si affronta il tema: altro che sottovalutazione! Il fondo perequativo è centrale, per lo Stato, uno Stato che vuole tutelare e difendere la parte debole del suo territorio.
Il fondo perequativo – si chiamava Stammati il ministro che lo ha inventato – , tagliuzzato negli anni, fino a diventare una barzelletta, ha dato risorse importanti ai territori, nel mezzogiorno soprattutto, che erano sotto tensione dal punto di vista dello sviluppo economico.
Ma soltanto questo? Ma pensiamo anche alla definizione minimalista del principio di solidarietà delle Regioni più ricche del Paese: non può essere una materia delegata alla forza delle Regioni, questa. Questo regionalismo senza costi standard, senza livelli essenziali delle prestazioni, e con l’esperienza trentennale, ormai, della spesa storica, mi allarma.
Noi possiamo richiamare anche il diverso gettito IVA, il trasferimento dello Stato per la sanità. È una cosa diversa dal gettito strutturale, che dal 1998 viene dato alle Regioni con un parametro che ha penalizzato il mezzogiorno, perché era fatto sull’invecchiamento della popolazione, e oggi quel parametro dell’invecchiamento deve essere rivisto, modificato, perché là dentro da un lato ci può essere l’invecchiamento della popolazione, ma dall’altro c’è il tasso di occupazione giovanile, che deve pesare tanto quanto l’invecchiamento della popolazione.
Questa deriva nella riforma costituzionale sottoposta a referendum io l’ho vissuta, l’ho vista, l’ho combattuta, non mi convinceva. Ecco perché oggi guardo a qualcosa d’altro, al trasferimento di importanti infrastrutture nazionali che siano il perno dello sviluppo stesso.
Sono già passati venti minuti?
Il discrimine, per quello che ci riguarda, sull’autonomia differenziata – mi ritrovo in una mozione che è stata presentata – non può portare a diritti differenziati. La sfida per un processo irreversibile, sì ad un regionalismo senza condizioni discriminanti, senza condizioni punitive per la struttura debole dello Stato, per le aree particolarmente in difficoltà dello Stato, che non tocchi il fondo perequativo, questo regionalismo. Anche differenziato, ma non tocchi l’unitarietà dell’erogazione della risorsa e dia piena garanzia della solidarietà nazionale tesa a ridurre il gap tra le Regioni. Su questo davvero ci possiamo ritrovare. Questi argomenti li trovo in una mozione, che non appartiene a me, ma li trovo, stanno là.
Questi aspetti li ritroviamo nelle sette Regioni che hanno chiesto la stessa autonomia: Campania, Liguria, Lazio, Marche, Piemonte, Toscana, Umbria. È un pezzo d’Italia importante che vuole andare in un’altra direzione rispetto all’avocazione di un federalismo secessionista. Noi dobbiamo guardare a questa parte del Paese. Anche noi – si diceva prima – insieme a Calabria e Basilicata abbiamo assunto un’iniziativa preliminare con il Presidente, che poi è stata stoppata. Oggi, però, possiamo fare altro. Iniziare un processo politico. È una partita troppo importante tra autonomia e secessione strisciante. Ecco perché il dibattito non si può chiudere con un “vogliamoci bene e andiamo avanti”.
Non ci sono condizioni, confini di maggioranza. Non vi possono essere appartenenze politiche. Ricordo a me stesso un passaggio, un appuntamento consumato dall’Assemblea regionale della Puglia elettiva, non ricordo se nel 2008 o nel 2009, quando, su iniziativa dell’opposizione di allora, del Presidente Palese, affrontammo il tema della spesa storica. Allora non c’era un Governo del centrosinistra. C’era il Governo Berlusconi. Assumemmo quell’iniziativa all’unanimità per vedere se si riusciva a modificare quel parametro, quell’algoritmo che aveva penalizzato negli anni la nostra Regione. Riflettano i Cinque Stelle. Se animati di attenzione verso il territorio, non possono rimuovere questi aspetti e queste difficoltà.
Spero che la politica si stia rimettendo in cammino. Ieri, per approfondire gli argomenti, mi sono interfacciato con un sito che presentava un dibattito che interessava il PD, Meridiana, e c’erano iniziative interessanti che sono state prese da quel partito, dai consiglieri delle Marche per andare ai consiglieri della Sicilia che ponevano aspetti diversi, ma che comunque avevano al centro l’unitarietà del Paese pur in un regionalismo anche differenziato che, però, non mettesse in discussione i princìpi cardine del prelievo e della redistribuzione a fini perequativi per le realtà più deboli.
Mi convince la mozione, e vengo alle conclusioni, Marmo-Zullo sulla parte descrittiva, sugli aspetti che vengono affrontati in quella parte, perché nega la dimensione macro della Regione, conferma la necessità di un regionalismo spinto e sostenuto dai princìpi di solidarietà nazionale anche su materie delicate e complesse. Quindi, un’ampia convergenza molto utile può partire da quello, però con obiettivi chiari: conferire un mandato pieno di rappresentanza sul tema al Presidente della nostra Regione, far ripartire il dialogo tra le altre Regioni del Mezzogiorno, del sud, costruire un fronte contro i possibili rischi latenti nella proposta a maggiore sfondo federalista, contrastare le prime bozze. Stanno circolando le bozze. La paternità si dà a queste bozze, ed è quella del Governo. Queste bozze non è che fanno stare tranquilli il Mezzogiorno, cara collega.
Approfondendo questi aspetti, mi sembra che i rischi vi sono. Quindi, una maggiore autonomia nella Costituzione, ma è compito del Parlamento tutelare l’autonomia. Poi andiamo alla contrattazione con le Regioni. Sono princìpi cardine che il Parlamento deve sancire con legge ordinaria, richiamando anche la stessa legge n. 42.
Sanità, scuola, ambiente e sicurezza possono mettere a rischio il sistema Paese e disgregare lo Stato centrale. La definizione dei LEP (livelli essenziali delle prestazioni) non può essere subordinata, deve essere vincolata ad obiettivi e algoritmi chiari e va definita la partecipazione alla risultante dell’algoritmo. Direttamente è un rischio, esattamente come è successo tanti anni fa con la definizione della spesa storica.
I LEP e i costi standard fissino i confini entro i quali realizzare l’autonomia differenziata. Diversamente, rischiamo per davvero. Quindi, una legge di attuazione che stabilisca questi princìpi a salvaguardia dei pilastri sociali della cittadinanza e quindi nella redistribuzione della stessa richiesta verso le realtà deboli.
Determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni sulla base di costi standard superando il principio e l’algoritmo che ha dato vita alla spesa storica, ormai ventennale, in questo Paese. Certo, portiamo interessi dall’altra parte, ma credo che un regionalismo di questo tipo si possa, se siamo chiari su questi obiettivi, guardare al futuro con una certa tranquillità, anche se la battaglia politica è molto aperta.
Lo studio Svimez (richiamiamo spesso questi approfondimenti) ci dice – è recente, due mesi fa è stata licenziata questa riflessione dello Svimez – che l’autonomia è da promuovere se aumenta l’efficacia e l’efficienza nell’uso delle risorse. Se noi cominciamo a parlare delle Regioni spendaccione guardando soprattutto al Mezzogiorno, anche quelli che hanno comprato le mutande con i soldi pubblici, noi facciamo harakiri. Sono cose particolari di gestione per le quali ognuno si assume le sue responsabilità. Ma il sistema dell’impiego delle risorse per il Mezzogiorno è tanto quanto quello del Nord. Non mi stancherò mai di dirlo. Con tutte le difficoltà che possiamo avere noi, in alcune Regioni, come le possono avere la Lombardia, il Veneto, la Liguria. Il Veneto no a mia conoscenza, ma la Lombardia e altre Regioni hanno avuto anche gli stessi problemi che hanno avuto le stesse Regioni meridionali. Quindi, il regionalismo non c’entra niente con la degenerazione di un sistema.
È, quindi, prioritario applicare una legge in materia di livelli essenziali, mettere il distinguo tra federalismo e regionalismo. Io credo serva un radicale cambiamento del nostro regionalismo. È l’approccio che noi del Mezzogiorno dobbiamo dare a questa problematica. Allora, Presidente, dica chiaramente che il trasferimento di funzioni dallo Stato alle Regioni non deve sbilanciarsi nell’erogazione dei servizi essenziali in favore delle Regioni più ricche, un regionalismo che dipende dalle ragioni e dagli interessi del sud.
Io concludo, perché mi rendo conto di aver esagerato, presentando la mozione, che ha quelle firme di cui vi ho parlato. La parte descrittiva della mozione Marmo e Zullo ho detto che ci convince e ci soddisfa nelle premesse, mentre per la parte conclusiva noi proponiamo questo emendamento: “impegna e conferisce mandato pieno di rappresentanza al Presidente della Giunta Emiliano: 1) per intraprendere una forte iniziativa politica tesa a costruire un fronte unitario con le altre Regioni del Mezzogiorno, per dare vita al Coordinamento permanente dei Presidenti delle Regioni meridionali (per oggi, per domani e per dopodomani, se ci riusciamo); 2) per impegnare i parlamentari pugliesi (per quello che ci riguarda) a sostenere in via preliminare una legge di attuazione del regionalismo differenziato che stabilisca i princìpi a salvaguardia della solidarietà nazionale in materia di cittadinanza, legge propedeutica alle intese con le singole Regioni (prima la legge su questi vincoli, poi possiamo trattare con il mondo intero); 3) per sostenere nelle sedi competenti la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni sulla base dei costi standard; 4) per introdurre nei meccanismi previsti per la definizione del costo standard e del fabbisogno standard il tasso di disoccupazione della popolazione attiva, oltre all’indice di invecchiamento della popolazione. Livelliamo i parametri di valutazione.
Infine, per sostenere l’aumento della dotazione finanziaria del fondo perequativo, destinando tale aumento al sostegno di politiche attive occupazionali per le Regioni.
Speaker : PRESIDENTE.
Grazie.
La parola al collega Mazzarano.
Speaker : MAZZARANO.
Intervengo anch’io per dire che la base di questa discussione dovrebbe essere quello che ci ha ricordato qualche settimana fa il Presidente della Repubblica, Mattarella: ogni qualvolta si discute dei diritti primari delle persone, bisogna fare attenzione a parlare di autonomia, di autonomia differenziata.
La semplificazione delle diverse articolazioni dello Stato necessitano di un approfondimento, perché non si ledano i diritti primari delle persone, si salvaguardi l’uguaglianza dei cittadini e la solidarietà tra i territori di un intero Paese.
Mi pare che queste caratteristiche siano state travisate dal disegno di autonomia differenziata della Lega Nord. Se noi stiamo discutendo in quest’Aula, e se anche in Puglia, come in altre Regioni del Mezzogiorno, si è aperta una discussione su questo, cara collega Laricchia, è perché il Movimento 5 Stelle non ha avuto la forza di opporsi a far scrivere nel contratto di governo che uno degli impegni di convergenza tra le due forze che ci governano era l’autonomia differenziata. Altro che difesa dei diritti del Mezzogiorno!
Stiamo discutendo di autonomia differenziata senza tener conto di un approfondimento sui livelli essenziali di prestazioni. Il tema non è, come ha detto giustamente il Presidente Emiliano a più riprese, discutere dei paletti dell’articolo 116 della Costituzione. Il tema è capire come mettere in campo un progetto di autonomia che accresca il livello di solidarietà, non che accresca il livello di divisione, di dualismo e di separatezza tra le Regioni ricche e le Regioni povere, non solo tra le Regioni meridionali e settentrionali, ma tra le Regioni ricche e le Regioni povere.
Il rischio a cui noi stiamo andando incontro, quindi, è questo. Innanzitutto, che si proceda in modo bilaterale senza un ruolo preciso del Parlamento. Il Parlamento è destituito di ruolo e di funzione in questa procedura. E con il Parlamento, la Conferenza Stato-Regioni. Per cui sia le Regioni che il Parlamento, che è il simbolo dell’unità del Paese, sono messi assolutamente fuori gioco.
Il rischio non è quello di una maggiore responsabilizzazione. È stato detto anche questo, lo ha detto De Luca, lo ha detto Emiliano, lo dice l’Emilia-Romagna. Il tema non è una maggiore responsabilizzazione. Il tema è che si intende fare di questo disegno un modo per trattenere il residuo fiscale delle Regioni del nord, i nove decimi, come è stato detto, delle imposte legate al territorio. Il rischio maggiore è quello di legare i fabbisogni standard alla capacità fiscale dei territori e delle Regioni, un concetto che si basa su quella volgare idea secondo cui il Mezzogiorno non ha una adeguata fedeltà fiscale, è spendaccione e ha, sostanzialmente, una idea della gestione della Cosa pubblica molto, molto imbarazzante per i cosiddetti “settentrionali”.
La differenza non la fa la campagna di comunicazione su questo tema. La differenza rispetto alla Lega di Bossi è che nella Lega di Bossi questi temi erano volgarmente buttati nel dibattito nazionale, invece adesso la Lega di Salvini, che ambisce ad essere un partito della nazione, un partito nazionale, che prende voti al nord come al sud, sta bene attenta a non rendere questi argomenti caratterizzanti della propria campagna mediatica, ma solo presenti nei programmi e nei confronti che esistono nel nord del Paese, lì dove loro governo le Regioni. Questa è la differenza tra ieri e oggi, sapendo – come noi sappiamo bene – che il tema del regionalismo, del federalismo, di maggiori poteri allo Stato e di maggiori poteri alle Regioni è un tema che attraversa il dibattito pubblico del Paese da almeno vent’anni, con fasi alterne di momenti in cui si pensa e si è pensato che fosse meglio dare più poteri allo Stato e momenti in cui si è pensato che fosse meglio spostarli verso i territori.
Però c’è una differenza tra le tre Regioni, e io vorrei che questo fosse chiaro. Si dice Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna. Lombardia e Veneto hanno fatto referendum costituzionalmente inutili. L’Emilia-Romagna, e credo che questo sia il punto da cui agganciare anche la riflessione e la valutazione delle Regioni meridionali e della Puglia, richiede che su uno spettro limitato di materie le risorse che lo Stato ha per gestire quelle materie vengano date alle Regioni per gestirle meglio, ma parliamo, ad esempio, dell’innovazione delle imprese, parliamo ad esempio delle politiche abitative residenziali per gli studenti universitari. Questa è, a mio avviso, autonomia responsabile.
Lombardia e Veneto chiedono altro, chiedono di poter gestire la differenza che c’è nella capacità fiscale delle loro Regioni in modo autonomo, e questo evidentemente rappresenta una perequazione alla rovescia, palesemente incostituzionale. Allenterebbe, allargherebbe il divario tra le Regioni ricche e le Regioni povere.
Se la sfida, anche per il Mezzogiorno, che deve continuamente sfuggire alla vulgata secondo cui il Mezzogiorno è parassita, assistenziale, in attesa di risorse dall’alto, ma incapace di spenderle, se questa è la sfida per il Mezzogiorno, penso che l’autonomia responsabile debba essere cimento di una Regione come la Puglia.
Spero anch’io, e chiudo, che questa discussione converga su una posizione unitaria del Consiglio regionale e dia al Presidente Emiliano la forza, l’autorità, l’autorevolezza per stare dentro questa partita, perché sono d’accordo, in questa partita non bisogna stare fermi. Chi pensa che l’opposizione all’autonomia differenziata si debba tradurre in un monito “stai fermo, non fare nulla” pensa in modo sbagliato. Io invece credo che come ha fatto la Campania e altre Regioni meridionali e non meridionali a questa partita bisogna partecipare attivamente, anche perché la Puglia è una Regione che in questi anni si è saputa distinguere per pianificazione e qualità della spesa, anche a differenza di altre Regioni del sud. Grazie.
Speaker : PRESIDENTE.
Grazie. La parola al collega Zullo.
Speaker : ZULLO.
Grazie, Presidente. Colleghi consiglieri, l’altro giorno abbiamo commemorato Aldo Moro, il quale rispetto all’autonomia diceva che l’autonomia è il più alto atto di umanizzazione verso le Regioni. Però, è evidente che Aldo Moro fondava questo concetto dell’autonomia su alcuni pilastri essenziali, pilastri essenziali che tendevano prima di tutto a non creare disparità tra i cittadini delle regioni e, quindi, a determinare a priori i livelli di assistenza, i fabbisogni, i costi standard, ma soprattutto quella fascia di perequazione delle risorse che, all’interno di concetti di sussidiarietà verticale e orizzontale tra le Regioni, doveva essere messa in atto quando queste disparità fra cittadini venivano in emersione. Ed è questo il concetto sul quale io e il mio Gruppo ci intratteniamo.
Noi non accogliamo quegli inviti che ci dicono di creare dei muri, di creare degli ostacoli al ragionamento. Assolutamente no. D’altronde, noi siamo convinti che, quando ti metti a erigere barricate, si è sempre sconfitti. Meglio, invece, accompagnare il processo, regolarlo, stare dentro la discussione e mettere in campo le capacità che si hanno per poter ottenere qualcosa di buono, qualcosa di buono che sia per i nostri cittadini, perché il problema di fondo e che noi perdiamo di vista sono i cittadini che noi amministriamo.
Le pulsioni di autonomia di alcune Regioni fondano sul dato che si ritiene che alcune Regioni, alcune Pubbliche Amministrazioni pecchino in efficienza amministrativa perché mettono in campo non certo la buona politica, ma la mala gestio, la mala gestione della politica. Molto spesso, infatti, non si pensa a organizzare i servizi per tutelare i propri cittadini, ma si pensa a organizzare i servizi per aumentare il consenso clientelare, diffondendo poi l’organizzazione delle strutture o le pratiche politiche di conduzione dell’Ente pubblico in una direzione che molto spesso non è nell’interesse dei cittadini, ma è contro l’interesse dei cittadini.
Io potrei parlare all’infinito degli esempi di questa Regione. Ne ho viste tante in questi quindici anni. Io ho visto, per esempio, la prima volta un Presidente di Giunta regionale, eletto per essere Presidente di Giunta regionale, abbandonare la Regione una prima volta – parlo del Presidente Vendola – e sparire per un anno, andando in giro per l’Italia a contendere la leadership del centrosinistra a Bersani. La cosa si è ripetuta con il Presidente Emiliano. Per me sono esempi non sopportabili, sono esempi che determinano, nelle elezioni primarie, secondarie, eccetera, quella scia di clientela e di disorganizzazione che poi ovviamente toglie, come qualcuno ha detto prima di me, risorse per il soddisfacimento dei bisogni dei cittadini.
Per noi, il tema dell’efficienza della pubblica amministrazione, il tema della qualità del pubblico amministratore ce lo dobbiamo porre. Perché è questo che crea, affianco ai ritardi storici, infrastrutturali, culturali, eccetera, le disparità tra i diversi territori, tra un Comune e l’altro, tra una Regione e l’altra. Ma chi si è cimentato, stamattina, su un elemento che è essenziale nell’attività della pubblica amministrazione? Cioè, sull’efficienza della pubblica amministrazione e sulla qualità della buona amministrazione? Chi si è cimentato, tra di noi? Nessuno.
Noi cioè stiamo a colpevolizzare i lombardi che chiedono un’autonomia differenziata, senza chiederci: ma in Lombardia sono più bravi, più efficienti rispetto a noi? In Emilia, sono più bravi e più efficienti rispetto a noi? In Veneto, sono più bravi e più efficienti rispetto a noi – a parte i loro vantaggi, ripeto, storici, territoriali, culturali ed altro – ? Però la differenza tra la qualità della politica di quelle Regioni e la qualità della politica delle nostre Regioni c’è tutta. E non possiamo far finta di non coglierla.
Noi abbiamo visto in Puglia il proliferare di agenzie per nominare direttori, commissari e robe varie. Ma che cosa hanno prodotto per i cittadini? Noi qui abbiamo fatto centinaia e centinaia di leggi. C’è qualcuno che mi sa dire quali effetti hanno prodotto sui cittadini le nostre leggi? Noi qui abbiamo fatto una serie di chiacchiere, per quindici anni, sulla Xylella, dal 2011. Però poi hanno distrutto un territorio e hanno dimostrato l’assenza della buona politica.
Ora, il tema sul quale noi come Gruppo vogliamo incidere è questo: noi dobbiamo stare al passo con il dibattito, dobbiamo pretendere che se questo dettato della Costituzione, che è scritto, questo articolo 116 prevede alcune possibilità per alcune Regioni, dobbiamo pretendere, però, di capire quali sono le disparità che possono nascere sui cittadini, che sono incolpevoli. La colpa dei pubblici amministratori si scarica su cittadini incolpevoli, quando invece penso che bisognerebbe introdurre per legge una specie di DASPO per il pubblico amministratore che non fa bene.
Vi porto l’esempio del Comune di Grumo Appula, che con i fondi dei Piani di zona 2018-2020 si impegna in un project financing per il 2020-2040. Quando lo vai a dire alla Regione e dici “guarda, attenzione a questa cosa” c’è un’inerzia, perché quel Sindaco è di una certa parte politica ed è evidente che chi viene a soffrire è la popolazione debole che dovrebbe fruire dei servizi dei Piani di zona. Tutti noi abbiamo idea di cosa succede nei Piani di zona? Abbiamo idea di cosa succede per la popolazione disabile, per la popolazione malata di mente? Assolutamente no, ma ci lamentiamo quando, invece, in quelle Regioni (Emilia, Lombardia, Veneto) i servizi funzionano.
Il problema è che non si può parlare ed essere contro le istanze, le pulsioni di autonomia senza fare un’autocritica di come noi interpretiamo il nostro ruolo. Noi, tutta la classe politica e dirigente delle Regioni del sud. Io sono per essere molto attento e molto guardingo a quelle che possono essere le innovazioni, stare al fianco, capire che percorsi possiamo intraprendere, ma non pensate di erigere muri. Se pensate di erigere muri, saremo e sarete sconfitti, perché c’è un’onda che ci travolge ed è la presa di coscienza di cittadini che vorrebbero guardare al buon risultato della Pubblica amministrazione e dell’andamento amministrativo degli enti pubblici. Non ne vuole più sapere di clientele. Non ne vuole più sapere.
Noi abbiamo nominato un commissario in un’agenzia che chiama i consiglieri comunali per dire “passa con me perché tra poco faremo una serie di assunzioni”. Non è possibile, perché mette in ridicolo un ente. Succede questo. Su questo io vi invito a riflettere. Noi dobbiamo sicuramente accompagnare questo processo e capire quali sono le conseguenze. Da una parte dobbiamo pretendere che ci siano livelli essenziali di prestazioni per tutti, uguali per tutti. Poi ogni Regione si organizza come può e come vuole per poterli erogare.
Dobbiamo fare in modo che ci sia una determinazione dei fabbisogni che siano equi per tutte le Regioni; che ci sia una determinazione di costi standard, perché poi alla fine non si capisce perché certe prestazioni da una parte costano x e dall’altra parte costano non x più uno, che sarebbe anche tollerabile, ma costano x più y più z più, più, più, più.
Dobbiamo chiedere la perequazione ai territori svantaggiati, una perequazione che si deve fondare su due assunti. Uno è la sussidiarietà verticale dallo Stato verso le Regioni e l’altro è la sussidiarietà orizzontale tra le Regioni, perché non ci può essere, non c’è la parola “autonomia” se non è coniugata alla parola sussidiarietà, in uno Stato nazionale, in una unità di Stato nazionale. Parlare di autonomia senza parlare di esigenza di sussidiarietà e senza parlare di uguaglianza di diritti, senza parlare di una responsabilizzazione massima della classe politica dirigente, che forma l’azione amministrativa degli enti pubblici e attraverso l’azione amministrativa degli enti pubblici riversa sui cittadini la qualità del servizio e il soddisfacimento dei bisogni io penso che sia un dibattito sterile e fatto solo di una sterile contrapposizione tra chi è di centrodestra, chi è di centrosinistra, chi è dalla parte di Salvini, di Bindi, che non serve. Serve, invece, una grande presa di coscienza, una grande presa di coscienza di quello che è il nostro compito, il nostro dovere, la nostra responsabilità e chiederci tutte le mattine guardandoci allo specchio se tutti i giorni adempiamo pienamente al nostro dovere, al nostro senso di responsabilità.
Abbiamo fatto diverse agenzie, diverse direzioni, diversi direttori. Io sono stanco di vedere gente chiamata da casa che entra a lavorare nel sistema pubblico regionale quando altra gente, purtroppo non vicina a qualcuno non fluente nel calore del sole, resta a casa nel bisogno. Io sono stanco.
Su questo noi ci dobbiamo interrogare. Noi abbiamo aderito alla mozione Marmo inizialmente, ma su questi princìpi, il principio non di una contrarietà fatta di muri, ma di una contrarietà o di una agevolazione e di un accostamento ragionato, calcolato, ma calcolato su queste considerazioni, la considerazione che non ci possono essere disparità tra i cittadini né di livello normativo attraverso l’autonomia né derivanti dalla irresponsabilità di classe dirigente che non merita di stare al proprio posto di classe dirigente e ad amministrare gli Enti pubblici. Questa disparità è notevole. Primo.
Chi è eletto per fare il Presidente di Giunta regionale deve fare il Presidente di Giunta regionale. Non può andare in giro a contendere leadership per il proprio carrierismo personale. È una questione morale, che questa Regione ha vissuto. Non è possibile. Chi fa il Presidente di Giunta regionale o chi amministra una Regione non può pensare di mettere in atto quella questione morale di Berlinguer, cioè l’occupazione sistematica dei posti di potere per creare il consenso. Non è giusto, perché questo si scarica sui cittadini.
Lo diciamo con molta lealtà, lo diciamo a viso aperto, perché le nostre posizioni sono sempre state chiare, nette, senza sotterfugi. Nette! Noi siamo per capire, stare dentro, non erigere muri, stare dentro e capire, ma lottare fortemente affinché non ci siano disparità legate non solo ai processi legislativi delle autonomie, ma anche alle irresponsabilità di chi amministra le Regioni. Quindi, secondo noi va introdotta una specie di Daspo: come il tifoso che fa lo scemo allo stadio viene allontanato, allo stesso modo il politico deve essere allontanato dalla Pubblica Amministrazione. Primo.
Secondo. Se non si capiscono quali sono i fabbisogni standard, i livelli essenziali di assistenza, i costi standard delle prestazioni, io penso che sia molto pericoloso parlare e avviarsi dentro un processo di autonomia senza aver prima predeterminato questi requisiti. La perequazione, la perequazione su sussidiarietà verticale e orizzontale, per mantenere l’unità, la generosità e la solidarietà verso quei territori e quei cittadini che restano indietro. Dopodiché, se siamo dentro questo impianto, io dico che si può ragionare. Si può ragionare perché l’articolo 116 della Costituzione prevede una possibilità. Ma se siamo al di fuori di questo e se siamo dietro spinte opportunistiche da parte di alcuni che credono di poter ricavare di più a danno di altri cittadini italiani, io credo che non si può aderire a una proposta di questo tipo, partendo, ripeto, da un mea culpa che profondamente, in questa Regione, qualcuno deve farsi.
Speaker : PRESIDENTE.
Grazie.
La parola al collega Marmo.
Speaker : MARMO.
Grazie, Presidente.
Cercherò di mantenere il mio intervento in dieci minuti, per consentire anche ai colleghi del mio Gruppo di dire la loro su un tema che ci eravamo tutti quanti impegnati a discutere nel più breve tempo possibile. Tuttavia, dopo il rinvio richiesto dal Presidente, arriviamo oggi ad una seduta alquanto stanca e poco decisa, devo dire, a discutere di un tema che pensavamo fosse alle nostre spalle e che invece riapre nuovamente i termini per quanti anni fa parlavano di secessione.
Oggi si parla di autonomia rafforzata. È un eufemismo determinato in pratica dalla riforma costituzionale del 2001 e dalle pre-intese firmate dal Presidente del Consiglio, Gentiloni, prima del 4 marzo di un anno fa.
Ci troviamo quindi a discutere di un tema che sembra un tema accademico, invece, abbiamo una questione che da alcuni economisti come Viesti, viene definita la “secessione dei ricchi”, e da altri economisti, come Nicola Rossi, viene definita la “secessione dell’efficienza”, ricordando che la Puglia è tra le Regioni inefficienti ed è la penultima Regione in Italia per efficienza nell’erogazione dei propri servizi. Questi sono i due paradigmi, uno dei quali toccato dai colleghi che mi hanno preceduto, in ultimo dal collega Zullo.
Su queste basi, e su una erronea interpretazione della Costituzione, si basa tutto questo dibattito che si sta svolgendo in Italia. L’erronea presupposizione di applicazione della Costituzione è data dal fatto che si presume, anzi si pretende che l’articolo 116 venga applicato senza alcuna mediazione legislativa. Credo che questo sia il danno principale.
Rispetto a questo, io ascolto molto spesso, e mi porta a riflettere sui dubbi che ogni ragionamento ci porta ad avere, Oscar Giannino, che tuona con gravi invettive nei confronti del sud, che si dichiara non accettare una secessione di questo tipo o, comunque, un regionalismo differenziato di questo tipo. Ritiene, Oscar Giannino, che le Regioni del sud non funzionino, quindi torna all’assunto di Nicola Rossi sulla secessione dell’efficienza, e quindi non dovrebbero ostacolare quelle Regioni che sono più efficienti. Anzi, dice una cosa in più Giannino. Dice che l’efficienza di quelle Regioni potrebbe portare loro stesse a determinare un residuo fiscale superiore, maggiore rispetto a quello che le stesse vogliono trattenere, che sarebbe utile e a vantaggio di tutta la nazione. Noi non siamo convinti di questo, umilmente, dal basso delle nostre convinzioni metapolitiche contingenti, perché riteniamo che il residuo fiscale non esista, così come ha dimostrato Gianfranco Viesti nel suo volume.
Il residuo fiscale non esiste, perché se fosse vero che la Regione Lombardia ha un residuo fiscale di oltre 50 miliardi, sarebbe anche vero – se fosse vero quello – che le Regioni del sud, Puglia in testa, la penultima, purtroppo, hanno un residuo fiscale negativo di meno 6.400 miliardi. Credo che non sia così, e Viesti dimostra che se scendiamo dalla Regione fino alla Provincia, fino al Comune capoluogo, Milano stessa avrebbe un residuo fiscale negativo rispetto al resto della Lombardia e probabilmente anche Venezia rispetto al resto del Veneto e alla piccola e media impresa che sviluppa PIL in Veneto.
Il residuo fiscale è un’invenzione che non serve. La stessa Corte costituzionale, nella sentenza n. 69/2016, ha dichiarato con molta chiarezza che il parametro del residuo fiscale non può essere un criterio specificativo dei precetti contenuti nell’articolo 119 della Costituzione.
Sulla base di questo, cari colleghi, noi dobbiamo decidere come andare avanti, perché come andare avanti determinerà il futuro delle Regioni. Abbiamo tutti quanti bocciato un referendum qualche mese fa, un anno fa o due anni fa, quando ci siamo occupati della riforma costituzionale.
Noi vogliamo capire di che cosa ci dobbiamo occupare, perché è vero, il collega Zullo ha centrato uno degli aspetti del protagonismo presidenzialista dei nostri Presidenti di Giunta: come Vendola, anche Emiliano si è districato in un movimento che lo ha portato alle primarie, che cerca poi di concretizzare anche nella nascita di numerose liste civiche; un protagonismo che non è solo amministrativo, ma è fortemente politico.
Quello che ci interessa sapere è come si può immaginare di continuare a lavorare in un quadro che tiene insieme l’unità nazionale.
Noi rigettiamo sia il termine “autonomia” che il termine “federalismo”, perché il federalismo è quello che può nascere dalla unione di soggetti istituzionali diversi. L’Italia, per fortuna, è già unita. Noi potremmo propendere per un altro tipo di affermazione, e cioè su un regionalismo cooperativo dove le Regioni si mettono insieme per determinare equilibri di sviluppo e dovremmo assolutamente parlare di una possibilità di collaborazione strategica.
Per questo il movimentismo del Presidente, che qualche mese fa, due mesi fa, incontra De Magistris per immaginare un federalismo, un’autonomia che riguardi anche le Città metropolitane e i Comuni, credo che getti confusione su questo tema, non lo illumina di nuove idee, perché quello è un movimento che nasce solo per motivi elettorali o comunque di creazione di una base elettorale politica. Credo, invece, che le Regioni debbano guardare ad altro, e cioè mettersi insieme per eliminare gli squilibri. Gli squilibri sono stati indicati proprio dagli interventi di alcuni consiglieri quest’oggi e che noi condividiamo. Lo squilibrio nella sanità in due Regioni, esempio questo riportato da tutta la letteratura politica, due Regioni, la Puglia e l’Emilia-Romagna, con egual numero di abitanti con la Puglia che ha una dotazione finanziaria in meno di circa 600 milioni di euro all’anno.
Questo determina una Regione che non solo è inefficiente, ma che diventa ulteriormente inefficiente per mancanza di risorse. Questo risulta da statistiche generali che sono conclamate. C’è una diversità di mortalità infantile tra le regioni del sud e quelle del nord. Al sud i bambini muoiono ancora di più che al nord. Così come la vita è più lunga al nord, con circa ottantatré anni di vita rispetto a ottantadue nel sud. Queste sono questioni che ci dicono con chiarezza che è la carenza di infrastrutture che determina il divario nord-sud, che si è accentuato soprattutto con l’ultimo Governo, che ha eliminato la quota di investimenti per il Sud sul bilancio dello Stato del 34 per cento. Non c’è più.
Allora dovremmo impegnarci tutti quanti a far sì che nasca un regionalismo solidale, ma dobbiamo anche impegnarci a fare in modo che ci sia chiarezza. La Costituzione non può avere un numero infinito di materie che sono concorrenti. O ci sono materie di competenza centrale o ci sono materie di competenza regionale. E che ci sia una previsione dell’interesse nazionale. Questo è quello che deve essere alla base di tutte le discussioni sul federalismo.
Per questo noi, cari colleghi, nel nostro ordine del giorno abbiamo individuato, insieme agli altri, perché anche gli altri ordini del giorno più o meno parlano di questo, una definizione, così come è previsto dalla legge delega n. 42, dei costi standard. Invece, le attuali intese demandano ai successivi tre o cinque anni la definizione dei costi standard, così come viene rinviata la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni.
Allora questo è quello che oggi noi chiediamo al Governo centrale, di bloccare questi procedimenti, perché secondo noi sono illegittimi, sono l’applicazione immediata dell’articolo 116 senza alcuna legge di mediazione che porti a definire quali sono i passaggi, senza espropriare il contesto delle Regioni italiane e senza espropriare il Parlamento di una decisione, che sarebbe quella assunta dalle sole Regioni, nella discussione con il Governo centrale. Sono materie che sono importanti, come quella sull’istruzione richiesta dalla Regione Veneto, dove addirittura viene creata una distinzione nell’ordine di quelli che sono gli insegnanti, i professori, i docenti. C’è addirittura la regionalizzazione, che va contro le norme europee e statali sulla libertà di mobilità, sulla libertà di stabilimento di chiunque, dalle aziende alle persone in Europa. C’è poi un’altra cosa che voglio sollecitare al Presidente Emiliano: creare un forte coordinamento con le Regioni del sud, le regioni non a statuto speciale, ma con le Regioni a statuto ordinario, per cominciare a determinare noi la scelta di come quei fondi comunitari che rimangono pertinenza dello Stato centrale, vengono poi investiti. Allora, forse, oltre al coordinamento dovremmo immaginare che queste Regioni realizzano una società mista per la gestione dei fondi comunitari nazionali, da destinare alle infrastrutture comuni, che possano superare le difficoltà fisiche e orografiche delle Regioni meridionali.
Su questa base, allora, noi riteniamo di accettare anche la proposta di emendamento che viene dai colleghi della maggioranza, perché si possa veramente convergere su un obiettivo comune, quello della parità di trattamento dei cittadini italiani davanti allo Stato, davanti alla Costituzione, e che tutti quanti si ritengano appartenenti ad un’unica nazione. Grazie.
Speaker : PRESIDENTE.
Grazie.
La parola alla collega Franzoso.
Speaker : FRANZOSO.
Grazie, Presidente.
A me dispiace notare l’assenza del collega Caroppo e della collega Laricchia, perché il mio intervento è stato sollecitato proprio dall’ascolto dei loro interventi.
La Costituzione italiana, diceva la collega Laricchia, prevede che possano essere attribuite alle Regioni più competenze. È vero. Dal 2001 ad oggi sono state tante le iniziative regionali volte ad ottenere maggiori competenze. Nel 2003 la Toscana chiede i beni culturali. Nel 2006 e 2007 ci riprovano il Veneto e la Lombardia, con tante materie che non sto qui a elencare. Nel 2008 chiede l’autonomia il Piemonte, con sei materie.
Nessuna di queste iniziative è arrivata in porto, perché fondamentalmente contrastata dalla volontà del Governo Berlusconi 2008-2011. Ma ora, queste richieste hanno preso nuovamente potere. Perché? Sono figlie di questo tempo, sono figlie di un egoismo esasperato, di un egoismo identitario che dal nazionale... Lo sentite l’hashtag, lo leggete sui social. Prima gli italiani. Poi si declina a livello territoriale e diventa prima i veneti, prima i lombardi.
La collega Laricchia diceva: è inutile presentare mozioni come quella presentata dal collega Amati e altri dieci, che ho sottoscritto convintamente anch’io, e conclude con un impegno al Consiglio regionale di contrastare. No, questa mozione andava presentata perché prima di noi altre ne sono state contrastate di proposte, ma soprattutto perché l’autonomia non è una richiesta fatta dalle comunità locali o dalle Regioni. Sovrana non può essere una Regione o una comunità locale. Sovrano – lo dice la Costituzione – è il Parlamento, che deve essere il garante dell’interesse dell’unità nazionale.
Un’altra cosa. La collega Laricchia ancorava la richiesta di autonomia di queste Regioni alla Costituzione. Devo leggerlo. La verità è che la stella polare di questo Governo non è la Costituzione, l’articolo 116. La stella polare di questo Governo è il punto 20 del contratto di Governo, che cita: “Questione prioritaria nell’agenda di Governo è l’attribuzione di maggiori autonomie, portando a rapida conclusione le trattative tra Governo e Regioni attualmente aperte. Il riconoscimento delle ulteriori competenze dovrà essere accompagnato dal trasferimento delle risorse”. Se facciamo riferimento all’articolo 116 della Costituzione, l’articolo 116 prevede maggiori competenze, ma mica il trasferimento di maggiori risorse.
Il collega Caroppo sosteneva la falsità di questo falso problema dello spostamento di maggiori risorse. Ebbene, prendiamo ad esempio una delle richieste di maggiore autonomia che sono state fatte, quella della Lombardia e del Veneto, che chiedono la materia dell’istruzione e chiedono di poterla finanziare facendo valere il valore medio nazionale di finanziamento pro studente dello Stato nei confronti della Regione. Badate bene, lo Stato spende in Lombardia pro studente, per ogni studente 463 euro. Lo Stato spende nel Veneto per ogni studente 483 euro. Veniamo a casa nostra. Quanto spende in Calabria? 710 euro. Quanto spende in Basilicata? 702. In Campania? 671. E in Puglia, Presidente, a casa nostra? 610. Quant’è il valore medio nazionale di cui parlano Lombardia e Veneto nelle loro intese? 550 euro. Sapete cosa significa? Traslocare un miliardo di risorse dal sud a queste due regioni, Lombardia e Veneto.
La legittimazione delle pretese delle Regioni del nord si chiama residuo fiscale. In una democrazia solidale il residuo fiscale esprime la capacità di redistribuire la ricchezza in nome di un principio di equità orizzontale. Invece, secondo la narrazione della Lega Nord, il residuo fiscale è diventato il principale simbolo di parassitismo del sud, delle Regioni meridionali.
È per questo che ho firmato la prima mozione, perché innanzitutto è stata la prima e perché era fondamentalmente priva di orpelli, definiva la linea: contrastiamo l’autonomia.
È ovvio che leggendo quella che è arrivata dopo, del centrodestra, non potrò che votare convintamente anche quella.
Grazie.
Speaker : PRESIDENTE.
Grazie. La parola al collega Colonna.
Speaker : COLONNA.
Grazie, Presidente. Buongiorno. Un saluto ai padri, vicini e lontani, se mi è consentito.
Ho sottoscritto e contribuito a predisporre con Fabiano Amati in particolare, su sollecitazione in primo luogo di Fabiano, con la condivisione di altri dieci colleghi, come ricordava Francesca, questa mozione già tempo fa che intanto ha sortito il risultato virtuoso di aver consentito a tanti una ritrovata consapevolezza del tema, del problema e aver ricalibrato anche le rispettive reazioni.
Diceva bene Francesca, la mozione va dritta al punto: contrastare non solo il disegno di autonomia, aggiungo contrastare i processi in atto. Cerco di spiegarmi. Se c’è un dato che mi preme sottolineare di tutta questa vicenda è la regressione culturale in cui ha indotto il nostro dibattito e il dibattito nazionale questo disegno di autonomia differenziata proposto dalle Regioni Veneto e Lombardia in maniera differente dalla Regione Emilia-Romagna. Parlo di regressione culturale, politica e istituzionale, ma in primo luogo di regressione culturale, nel senso che ha ridotto, ha sminuito, ha svilito il dibattito sull’autonomia, purtroppo inevitabilmente, a una questione di moneta, ci ha indotto, purtroppo inevitabilmente, a ritornare a piangerci i mali e i ritardi storici del Sud, a ridiscutere nuovamente di tutto ciò che non va nel nostro Sud e, quindi, ha rinfocolato sostanzialmente quell’atteggiamento rivendicazionista che decenni di meridionalismo aveva tentato di emancipare.
In terzo luogo, regressione culturale perché ci riporta nuovamente a discutere di una logica bottegaia, impaurita, difensiva di confini, recinti, muri, quando – diceva bene Fabiano all’inizio – le prospettive sono altre, le prospettive in cui bisogna liberare energie e non conservare, consumandolo, l’esistente.
Approfitto per riportare alla mente nuovamente qualcosa che ho nuovamente ascoltato ieri sera, che segna poi l’epoca, di quanto questa epoca sia segnata dall’inconsapevolezza di quello che siamo. Non è una citazione nobile, è da un film nuovamente visto stanotte. Di quanto abbiamo perso la consapevolezza della condizione umana. Un tempo eravamo esploratori, pionieri. Coraggio non significa non avere paura. Guardavamo il firmamento con meraviglia e ci sentivamo parte di un tutto più ampio. Invece ci ritroviamo ad abbassare lo sguardo e ad aver paura del pantano di fango in cui ci districhiamo.
Ebbene, questo dibattito complessivo ha determinato questa profondissima regressione culturale, lessicale, che infastidisce in primo luogo me, nel momento in cui devo sottolineare delle cose. È già stato detto tutto: i livelli essenziali, i loop, ormai siamo tutti, anche all’esterno, abbastanza avvezzi a questi acronimi, i livelli uniformi delle prestazioni, i LEA, e così via.
I dati di fatto però quali sono? I dati di fatto sono che ci sarà un motivo se ci sono cinque Regioni del sud Italia ancora in Obiettivo 1. È un dato oggettivo che cinque Regioni, nell’arco anche di oltre un quindicennio di programmazione di fondi strutturali non sono uscite da questa condizione, e mantengono appunto un livello medio pro capite di PIL inferiore al 75 per cento della media europea. Questo è un dato di fatto, non è inventato.
È un dato di fatto anche che il quadro per l’intesa, per ora la parte generale su cui si è chiusa l’intesa anche col ministero delle finanze a febbraio, ma anche le bozze che girano, ci restituiscano, invece, un’autonomia davvero perversa. Mi faceva venire in mente, mi corregga il notaio Zinni, i patti Leonini, tra l’altro dichiarati nulli dal codice civile, quelli per cui ad un socio sono riservate le perdite, all’altro invece tutti gli utili. Perché è questo che ci viene propinato quando si parla appunto di risorse, nel momento in cui si fa richiamo in primo luogo alla spesa storica. Vivaddio! Spesa storica significa prendere atto di quello squilibrio storico evidente, quindi il tentativo, in altri termini, è di costituzionalizzare – questo significa – uno squilibrio storico. O ancora, quando si dice che procederemo entro un anno a definire i livelli essenziali, i fabbisogni standard, in ogni caso, se non ce la facciamo entro un anno, tre anni, i trasferimenti non potranno essere inferiori alle Regioni con autonomia rafforzata, inferiore al valore medio nazionale pro capite della spesa statale per l’esercizio delle funzioni stesse, e comunque vada sarà un successo.
Per non parlare delle infrastrutture, quando per un verso si dice, io direi anche opportunamente, giustamente, riconsegniamo alle Regioni la capacità di programmare gli investimenti, programmare le infrastrutture nel campo dei trasporti e, dall’altro, però, si va a cristallizzare, ove non si definisca il fabbisogno standard e la quota assegnata del fondo nazionale trasferita attraverso la compartecipazione ai tributi, si va a cristallizzare una quota invariabile del fondo nazionale, almeno l’80 per cento, a favore di queste Regioni. Comunque vada, sarà un successo. E così altri temi che non sto qui a evocare.
Mi preme ora sottolineare due cose che si danno per scontate anche nelle nostre conversazioni, spesso. Si acquisiscono come dati di fatto. Io invito a rileggere con attenzione la formulazione dell’articolo 116, che sarà stato oggetto di un intervento di riforma costituzionale su cui, magari, ciascuno di noi ha opinabilissime opinioni, ma quel testo non è affatto banale. Il 116 della Costituzione intanto contempla l’autonomia differenziata, cioè l’attribuzione di ulteriori funzioni rispetto a quelle definite dal 117. Intanto la contempla come una possibilità, ma circonda questa possibilità di una serie significativa di cautele. Uno: non dice, il 116, riconosciamo autonomia sic et simpliciter alla Regione che lo chiede, ma impegna Stato e Regione, sentiti gli enti locali e così via, ad addivenire ad un’intesa sulle condizioni e le forme particolari di autonomia, quindi non un’autonomia pure e semplice (fai questo, fallo tu), ma dice “definiamo le condizioni e le forme”. Primo. Quindi, non è una cessione brutale di sovranità. In secondo luogo, altra cautela, la maggioranza qualificata, assoluta in questo caso, dei membri del Parlamento richiesta per l’approvazione dell’intesa.
In terzo luogo, il dato più importante, l’intesa, e quindi la definizione del nuovo assetto, deve rispettare in ogni caso i princìpi dell’articolo 119 della Costituzione. Questa parte viene completamente dimenticata in tanti ragionamenti che evocano quella salvifica formula competitiva per cui chi fa di più fa meglio, questa dimensione agonistica nei territori all’interno di un territorio, all’interno di una nazione. È davvero assurdo.
Il rispetto dei princìpi dell’articolo 119 significano in ordine – ne estrapolo solamente qualcuno – il rispetto pieno e l’attuazione piena della funzione del fondo perequativo, qualcosa di assolutamente dimenticato. Mi fa piacere che Nino Marmo all’inizio, e non ricordo quale altro collega, richiamava come i meccanismi perversi del fondo perequativo stanno già sancendo da anni, dalla sua attivazione, o consolidando dei profondi squilibri.
Cito per tutti la distribuzione del Fondo università, di funzionamento ordinario per l’università; meccanismi perversi che consentono di dirottare maggiori risorse ai territori che hanno una capacità maggiore, università che hanno capacità maggiore di introiti in termini di tassazione o in termini di assorbimento, in termini di posti di lavoro dei laureati e questo non significa altro che consacrare come avviene una strisciante secessione nei fatti. È troppo facile il richiamo a ciò che avviene con il Fondo sanitario, il raffronto che più volte è stato evocato anche dal Presidente Emiliano tra la condizione dell’Emilia-Romagna e la Puglia, che è nota a tutti, e non sto qui a riprenderla.
Rispetto del 119 significa pieno funzionamento del Fondo perequativo. Il 119 impegna lo Stato comunque a garantire e intervenire per salvaguardare la coesione e la solidarietà sociale. In terzo luogo interviene lo Stato a rimuovere gli squilibri economici e sociali; interviene lo Stato a garantire l’effettivo esercizio dei diritti della persona; interviene lo Stato a promuovere lo sviluppo economico. Ovviamente, come? Obbligando lo Stato centrale a garantire risorse aggiuntive, dice l’articolo 119. Quindi, qui c’è addirittura un ribaltamento della prospettiva costituzionale.
Questo per dire cosa? E ritorno al tema iniziale. Che questa storia dell’autonomia così è assolutamente da contrastare, perché autonomia significa responsabilità, significa certo responsabilità nella gestione delle risorse proprie, capacità di programmazione, capacità di intervenire nei processi decisionali, non significa consolidare squilibri, perché lo Stato italiano, come disegnato nella nostra Costituzione, è uno Stato, sì, uno e indivisibile (articolo 5), ma quella non è una mera constatazione. Quell’articolo 5 impegna tutti, a tutti i livelli, a concorrere affinché sia una e indivisibile, e questo concorso avviene nel garantire condizioni uguali, accessi uguali, opportunità uguali, livelli uguali di prestazione. Quindi, impegna tutti.
Conosciamo bene la matrice storica dell’Unità d’Italia e così via, ma proprio perché i costituenti sapevano ed erano consapevoli delle differenze territoriali anche in termini culturali, in termini sociali, in termini economici, impegnava la Costituzione acché tutti potessero concorrere, lì sì autonomamente, nel senso di dare di più per mantenere vivo quel senso di unità e indivisibilità. Richiamando e seguendo il ragionamento di Fabiano, sui beni culturali è così evidente in quell’articolo 9, quando non dice che i beni, il patrimonio, il paesaggio sono della Regione, del quartiere, del comitato civico, ma quei beni, quel patrimonio, patrimonio storico e culturale, quindi identitario, sono patrimonio della nazione, che va ben oltre la dimensione giuridica dello Stato, la configurazione giuridica dello Stato, va ben oltre l’idea dei confini amministrativi. È un qualcosa che attiene ad un popolo. Quindi, unità e indivisibilità significa unità e indivisibilità della nazione.
Allora quella che è in corso è davvero una battaglia culturale, oltre che istituzionale e politica, e questa battaglia culturale esige di colmare quel gap ancor più profondo e ancor più grave di tutti, ancor più grave del gap infrastrutturale, economico, di sviluppo e così via, è il gap di rappresentanza politica del Mezzogiorno. Questo è il tema. Quindi, non un approccio difensivo rivendicazionista, ma un approccio attivo, proattivo, che deve restituire forza, autorevolezza alla rappresentanza del Mezzogiorno: questo è il grande deficit del Mezzogiorno. Quell’autorevolezza che ci consente di ragionare non con Roma, non con Milano, con Venezia, ma di ragionare con Bruxelles, con le sfide internazionali, che vanno ben oltre.
Cambiamenti climatici: ma che cosa vogliamo discutere? La competizione con il Veneto, che si vuol trattenere le accise sul gas? Vogliamo discutere e dire che magari ci tratteniamo il 30 per cento di energia prodotta dalle fonti rinnovabili in Puglia? La vogliamo porre in questi termini? O la vogliamo porre nei termini che il 30 per cento del petrolio in Basilicata resta in Basilicata, come ha fatto il Veneto con il decreto semplificazione, a proposito di centrali idroelettriche? Scrivendo nel decreto che il 30 per cento dell’energia resterà alla Regione? Di cosa stiamo parlando? Questa è una battaglia davvero culturale, nazionale.
Chiudo dicendo che questa, ripeto, non è una questione meridionale, ma è una questione nazionale, su cui la partita si gioca. E si gioca anche rimuovendo incrostazioni, debolezze nel nostro linguaggio, e davvero, rimuovendo anche dal nostro orizzonte di ragionamento questa idea dei confini, dei recinti.
Chiudo a mo’ di aneddoto, se me lo permette sempre il notaio Zinni, con cui condividiamo alcune sensibilità in materia. Cito un bellissimo articolo che mi è venuto alla mente ascoltando non ricordo quale collega, forse Andrea. Cito un articolo che il mio maestro di diritto citava, ovviamente era il suo argomento principe: dedicando la lezione al tema della proprietà, si soffermava in maniera estremamente insistita sulla chiusura del fondo. Questa chiusura del fondo, ovviamente ci faceva capire – non era semplicemente la storia per cui uno si costruisce un muretto di recinzione, quella è un’attività che confiniamo ai poteri dei proprietari – era una precisa scelta economico-funzionale della proprietà. Significa chiudere il fondo, e il parallelismo mi pare evidente, significa sottrarre la propria proprietà, il proprio bene da una rete diffusa di relazioni. Ed evocava un articolo bellissimo del Codice civile napoleonico (1805) sul pascolo reciproco. Non ricordo se il 648 o il 647 del Codice napoleonico. Straordinario. Quella norma prevedeva che chi facesse o avesse fatto la scelta – il proprietario – di chiudere il fondo perdeva il diritto di far pascolare il proprio bestiame sui pascoli liberi, lo perdeva in misura proporzionale alla quota di proprietà che lui andava a chiudere. Cosa significa? Significa che lui aveva fatto la scelta legittima, possibile di chiudersi. È una scelta da difendere, è un diritto, ma questo aveva delle ripercussioni nei termini di sottrarsi anche alla rete indiretta di vantaggi, di favori, di benefici che in un contesto di relazioni quella scelta avrebbe comportato.
Ebbene, questa scelta, questo percorso in atto e il dibattito in atto, al di là degli esiti... Perché io devo prendere atto, come anche il Movimento 5 Stelle, finalmente, pur con ritardo, ha un po’ rallentato il processo che sembrava ineluttabile. Mi auguro che anche questo dibattito, attraverso la forza che consegneremo al Presidente Emiliano, in primo luogo, la consegniamo alle forze che hanno una rappresentanza del Governo centrale, ebbene, si abbia la forza di rivendicare non la nostra condizione di bisogno, di sofferenza, di squilibrio storico, ma si abbia la forza di dire che noi, come Regione Puglia, come tutto il sud Italia, come le Regioni del centro e del nord, siamo dita di una mano, ciascuno con la sua funzione, ciascuna impegnata a mantenere salda quella unità e indivisibilità della nazione e del nostro popolo.
Grazie.
Speaker : PRESIDENTE.
Grazie.
La parola al collega Damascelli. Collega, siccome il tempo è stato già esaurito, le chiedo solo di essere... Va bene. Ci sono già stati due interventi prima. Grazie.
Speaker : DAMASCELLI.
Grazie, Presidente. L’argomento che stiamo affrontando quest’oggi è di grande importanza e pertanto auspico che alla fine di un dibattito così articolato e complesso dei colleghi ci sia comunque una parte operativa e concreta. Tutti abbiamo espresso un pensiero, ma adesso, se siamo in grado facciamolo, creiamo un coordinamento di tutte le Regioni del sud, di tutti i parlamentari di tutti i partiti delle Regioni del sud e cerchiamo di bloccare questo procedimento. Ecco, non limitiamoci soltanto alla fase del dibattito e all’oratoria nell’Aula istituzionale di questa Regione, importante come fase, ma che deve essere propedeutica ad una attività forte e concreta che noi come Gruppo consiliare e come partito politico abbiamo già iniziato, tant’è che il 23 e il 24 saremo nelle piazze per la manifestazione “No all’autonomia” e chiederemo ai cittadini di sottoscrivere migliaia di cartoline che invieremo al Presidente Mattarella appunto per cercare di bloccare un procedimento che nuoce gravemente alle Regioni del sud.
L’Italia – lo stabilisce la Costituzione –, se lo mettano bene in mente, è una ed è indivisibile e noi vogliamo tutelare questa omogeneità. Riteniamo che sia opportuno garantire i diritti fondamentali, i diritti sociali e civili dei cittadini in egual misura in ogni angolo del Paese, quel Paese che noi amiamo così com’è, in tutte le sue zone, in tutte le sue caratteristiche. Questo vogliamo fare.
È impensabile che il Fondo sanitario nazionale preveda per due Regioni come, per esempio, l’Emilia-Romagna e la Puglia, che hanno la stessa dimensione demografica, un vantaggio di oltre 600 milioni in più per l’Emilia-Romagna. Dicono che noi non siamo una Regione virtuosa, ma se non ci mettono nelle condizioni di poter essere una Regione virtuosa perché i criteri di riparto dei fondi sono sempre più penalizzanti delle Regioni del nord noi non riusciremo mai ad essere al pari con le Regioni del nord. Questo, purtroppo, si sta verificando sempre di più. Anche i finanziamenti destinati alle imprese sono sempre inferiori, sono sempre di meno per le Regioni meridionali. Questo comporta anche una minore presenza delle imprese, una desertificazione territoriale ed una fuga di cervelli; ragazzi che si formano nelle nostre università e che poi sono costretti ad emigrare per cercare in altre zone il lavoro. Noi tutto questo dobbiamo impedirlo. Così come dobbiamo impedire e non possiamo consentire che ci sia un’assoluta disparità e discriminazione nei diritti come la sanità, la mobilità, le infrastrutture, i trasporti e addirittura anche l’istruzione. Vogliono regionalizzare addirittura l’istruzione, creando una gravissima situazione di discriminazione anche nel corpo docenti. Questo va impedito, ma va impedito concretamente e correttamente, attraverso delle azioni concrete che noi dobbiamo mettere in campo.
Voglio ricordare agli amici del PD, che hanno sottoscritto una mozione differente dalla nostra, che questa iniziativa nasce proprio da un accordo siglato dal Sottosegretario Gianclaudio Bressa, delegato dal Presidente del Consiglio Gentiloni, il 28 febbraio 2018, quando il Presidente dell’Emilia-Romagna firma con il Governo nazionale a guida PD un accordo per l’autonomia rafforzata. Questo lo voglio ricordare. Quindi, anche noi nei propri partiti dobbiamo intervenire presso i nostri rappresentanti istituzionali e possiamo anche dire all’Emilia-Romagna di evitare di danneggiare con la sua politica, che riesce ad avere un’influenza particolare, perché i consiglieri regionali dell’Emilia-Romagna hanno ottenuto nel loro partito questo risultato, che danneggia la nostra regione, danneggia il Meridione d’Italia e, quindi, danneggia anche voi, che invece da questo punto di vista questo risultato non l’avete ottenuto. Anzi, siete stati soccombenti all’interno del vostro partito rispetto a un accordo che l’Emilia-Romagna ha fatto con la Presidenza del Consiglio.
Allora attiviamoci realmente e concretamente per garantire i livelli essenziali delle prestazioni, che siano uguali e omogenei per tutti e dappertutto, perché soltanto così noi potremo realmente tutelare le esigenze della nostra comunità, chiedendo anche una riformulazione dei criteri di riparto dei fondi nazionali per la sanità, per l’istruzione, per la mobilità e per le infrastrutture, chiedendo anche un fondo che aiuti, che sostenga, appunto, le regioni più deboli del nostro Mezzogiorno.
Insieme alle Istituzioni politiche, sono intervenuti tanti costituzionalisti a contrastare questa attività relativa all’autonomia delle Regioni del nord in danno delle regioni del sud, ma addirittura anche le scuole. Mi hanno contattato da un liceo di Bari, proprio stamattina, per chiedere cosa pensassi io in merito ad una raccolta di firme che docenti e alunni stanno portando avanti nelle scuole di questa Regione per chiedere che fosse subito interrotto il procedimento dell’autonomia, così come riportato nei nostri documenti.
Passiamo allora alla fase concreta, alla fase operativa, cerchiamo di essere più incisivi nella nostra azione politica, anche all’interno dei nostri partiti, nello scacchiere delle Regioni italiane, chiedendo un riequilibrio dei fondi relativi alle infrastrutture e alla sanità, chiedendo che siano rispettati concretamente i diritti dei cittadini, che siano garantite agli enti locali le funzioni più importanti, le funzioni fondamentali, che servono ad assicurare servizi utili e necessari ai cittadini pugliesi.
Questo deve essere l’obiettivo, che insieme dobbiamo portare avanti, alzando la voce all’interno dei nostri partiti, alzando la voce all’interno di tutti i Consessi istituzionali. Noi lo stiamo facendo. Lo faremo nelle piazze in questo weekend, lo faremo tra la gente, ma vogliamo farlo anche nelle sedi istituzionali preposte, cercando di portare avanti sempre più l’interesse della nostra comunità, ammainando la bandiera della faziosità e issando invece quella del bene comune. Grazie, Presidente.
Speaker : PRESIDENTE.
Grazie a lei. La parola al collega Pentassuglia.
Speaker : PENTASSUGLIA.
Grazie, Presidente.
L’importante, come dice qualcuno, è parlarne. Onestamente, scarsa attenzione si era avuta, fino a questo momento, se non avessimo presentato la mozione. Rivolgo i complimenti miei personali per quello che ho sentito a Nino Marmo, a Damascelli, alla collega Franzoso. C’è un distinguo inevitabile con il Movimento 5 Stelle, che artatamente non parla di alcune questioni che sono i dati, e vengono forniti sulla base di un’attenta discussione su questo tema dell’autonomia. Non è tanto nello spelling della parola che il tema mi appassiona, quanto nella dissertazione di tutto quello che c’è dietro a questa autonomia.
Ho sentito un riferimento a Gentiloni. Gentiloni ha commesso un grande errore politico. Non so se è una cortesia alla Regione Emilia. Chiede altro rispetto ai lombardo-veneti. Gentiloni ha fatto un errore gravissimo. Gentiloni si doveva occupare del fondo di perequazione. Gentiloni si doveva occupare, come questo Parlamento e questo Governo devono occuparsi, di come ridurre le diseguaglianze. Ragioniamo di quali provvedimenti, in termini di equità e giustizia, mettiamo a monte. Non vorrei che il tutto fosse rappresentato – chiedo all’assessore Ruggeri di approfondire il tema – dalla lettera che ha fatto arrivare il Ministro per il Sud ieri alle Città metropolitane rispetto alle risorse che mette a disposizione per gli asili nido. Solo nella lettura c’è da rabbrividire per la terminologia usata. Però questo sarà oggetto di un approfondimento in Commissione, assessore. Forse è bene che qualche, anzi più di qualche verità la si metta a disposizione di una discussione politica, che ci deve essere.
Bene le piazze di Forza Italia, bene la condivisione, al di là del risultato finale che avremo sulle mozioni. Prevedo una convergenza, al di là di qualche distinguo di investire chi. Si parla nella sede deputata, cioè nel Consiglio regionale di un tema così importante. Vi chiedo scusa se ho chiesto la presenza degli assessori e del Governo. Nella Conferenza Stato-Regioni, per chi quella Conferenza la abita veramente e non ci passa saltuariamente o fa passare un capo dipartimento che possa rappresentare secondo qualcuno le istanze politiche di questa Regione... Altrimenti devo ritornare al documento del 5 febbraio sulla sanità, che poi toccherò un attimo velocemente. Il tema non è il distinguo dei 600 o 800 milioni in meno, il danno nei confronti della Puglia.
In questo momento in quest’Aula, mentre fuori si parla di +Europa, mentre fuori si parla di processo digitale, si parla del terzo millennio, delle nuove sfide, noi, guardando indietro, facciamo retromarcia. Condivido appieno il pensiero di Marmo: una secessione vera. Chi mette la faccia oggi per difendere un progetto malsano che mina quello che la Costituzione, che molti hanno richiamato nella guerriglia per abbattere un Presidente del Consiglio, si è aperta nel momento in cui c’era un referendum e anziché parlare del merito si parlava di salvare la Costituzione. Bene.
Tramite le forze politiche, abbiamo sentito e lo sentiremo nei prossimi giorni e poi vedremo in Parlamento… Perché se si continua così il Parlamento viene esautorato nella sua funzione legittima, che non può e non deve essere esautorata.
Applichiamoci un attimo, e faccio velocemente perché il tempo è tiranno. Scusate, al Fondo sanitario nazionale il riparto di 1.800 euro pro capite per cittadino nell’applicazione di questa autonomia avete visto che cosa comporta? Le Regioni del nord portano a casa un riparto che va a 2.200 euro pro capite, mentre il sud scende a 1.100. Significa che agli 800 milioni in meno noi aggiungiamo i 682, a cui aggiungiamo 200 milioni di mobilità passiva che paghiamo al 100 per cento, a cui si aggiunge, lo dico qui agli atti, che l’accordo con le Regioni del 24 luglio 2014 sul piano di riparto del Fondo sanitario nazionale aveva determinato che l’aumento del personale che il nord aveva rispetto al sud lo doveva smaltire entro il 31.12.2020. Adesso si sta discutendo in Parlamento che questa cosa venga annullata e i giovani del sud a cui richiamo il Presidente della nostra Regione a fare un richiamo a ritornare in Puglia e a sollecitare quei direttori generali, alcuni dei perfetti non pervenuti nella gestione della sanità pubblica, a far rientrare, ad assumere quelle persone perché stanno lavorando in Lombardia con la partita IVA.
Come vedete, se entriamo nel merito, ne abbiamo di cose da dire. Amati ha parlato delle centrali elettriche, la collega Franzoso ha fatto l’esempio lampante sulla scuola. È una cosa aberrante.
La media della spesa pubblica l’ho sentita richiamare qui, ma le percentuali le abbiamo viste? È più bassa al sud. Rispetto al PIL, noi paghiamo il 33,5 per cento in Puglia rispetto al 32,4 della Lombardia, la Campania il 34,9.
Da questo punto di vista, per rafforzare questa idea di discussione concreta, abbiamo bisogno di deliberare come Consiglio regionale e di far sapere alla Puglia che c’è questo dissenso, questo contrasto vero a un’autonomia che davvero tira una linea di demarcazione ancora più forte e importante, che non dà risposte ai territori e che magari non valuta quello che a noi serve. Sono diciotto mesi che il Ministero dei trasporti non risponde alla rimodulazione delle risorse, non per dare nuove risorse alla Puglia, per rimodulare a isorisorse. Forse domani in pre-CIPE, forse, ci sarà la rimodulazione. Nel frattempo, i Comuni non possono mettere nel triennale le opere, non si può dare incarico per fare i progetti e l’obbligazione giuridicamente vincolante, spostata dal 31/12/2019 al 31/12/2020, sarà un tempo ancora inutilizzabile, che farà dire a qualcuno “è bene che le risorse le portiamo al Nord”. Per non parlare dei 90 milioni tolti al CIS di Taranto, perché non partono i cantieri, perché l’edilizia sanitaria all’articolo 20 vede delle riunioni ridicole di appostamento di risorse, senza parlare dei progetti e senza seguire se questi ospedali vengono costruiti o meno.
Vado a chiudere, perché è un tema che appassiona ognuno di noi. Perché la sfida politica non può essere quella di far partire tutti dallo stesso punto? Va bene, l’autonomia, ma chi parte, da dove parte e con quali gap parte? Ho sentito richiamare il tema delle Regioni a Statuto speciale. Forse è anacronistico parlarne per chi è stato nelle Conferenze Stato-Regioni vedere che chi si accapigliava per tirare un euro e chi, invece, si alzava e se ne andava a fare altre cose. Forse di questo dovremmo discutere. Perché non parlare dei tempi per lo “sblocca cantieri”. Perché non parlare di chi non viene nelle Conferenze. Perché non parlare in Puglia della lettera della Soprintendenza che dice all’assessorato regionale “lo Stato siamo noi”. Come se ai sensi della Costituzione questa Assise e i pugliesi non fossero lo Stato.
Si accelera su un provvedimento che vorrei ricordare a quest’Aula è stato votato dall’8 per cento della popolazione lombardo-veneta, solo l’8 per cento, però impatta su tutti, nonostante il voto unanime dei Consigli regionali. E noi, rispetto ai 14 miliardi che valgono “Quota 100” e “Reddito di cittadinanza”, su un’operazione da 38 miliardi, perché questo dicono gli addetti ai lavori vale questa partita, estromettiamo il Parlamento? È bene non discutere ed è bene non ricordare che noi eravamo quelli che puzzavano, quelli del sud che gestivano male le risorse. Abbiamo dimostrato altro, quando ce n’è stata data la possibilità.
Allora io penso, e chiudo davvero, che il lavoro di oggi – e se non c’è tempo lo chiudiamo domani, con una intesa seria, un documento forte e serio di questo Consiglio regionale – serva a dire a ognuno, nelle piazze come nelle scuole, nelle famiglie come negli oratori, che non bisogna abdicare al ruolo di cittadini attivi, di cittadini che parlano di una Italia per la quale i nostri nonni hanno lottato. Oggi, nella giornata del papà, l’augurio va a tutti loro e a tutti coloro i quali hanno lottato perché noi oggi si possa parlare dell’Italia liberamente come di un Paese unito e indivisibile.
Ma questo lo dobbiamo portare avanti con forza e coraggio, lottando contro demagogia e populismo “a manovella” che stanno determinando l’impoverimento culturale a cui il collega Colonna ha fatto riferimento.
Grazie.
Speaker : PRESIDENTE.
Grazie a lei.
La parola al collega Liviano. La prego, collega, di restare nei tempi, perché anche il Gruppo ha già utilizzato il tempo a disposizione. Grazie.
Speaker : LIVIANO D’ARCANGELO.
Presidente, lei capisce bene che la mia cultura, pur con il grande affetto e la grande stima che nutro nei confronti di Andrea Caroppo, è completamente diversa, quindi non posso pensare che mi rappresenti ciò che ha detto il collega Caroppo. Lo dico, ripeto, con grande affetto e grande stima nei confronti di Andrea.
Andrea sa che lo stimo e apprezzo molto, ma evidentemente, su questi temi la mia opinione è completamente diversa da quella che lui ha rappresentato, quindi mi permetto di vendicare comunque i tempi necessari per esprimere la mia opinione.
Parto proprio da quello diceva Andrea Caroppo. Io non credo, Presidente, che si possa ragionare solo affrontando questo tema come se fosse una questione meramente tecnica. La questione non è tecnica, ma è evidentemente e chiaramente politica. La questione è in particolare come immaginiamo il futuro, come immaginiamo il futuro della nostra nazione e come immaginiamo il nostro futuro.
Il futuro può essere affrontato immaginandolo con paura o con speranza. La paura mette al centro le esigenze di singoli, o di pochi, valorizza i particolari, valorizza le esigenze specifiche, mette gli uni contro gli altri. La speranza racconta invece, una cultura di solidarietà, valorizza le diversità, cerca le relazioni, accoglie le diversità come ricchezza.
Se affrontiamo il futuro con paura, costruiamo muri. Racconteremo che il nord è penalizzato dal sud e che è giusto che i soldi del nord rimangano al nord, perché noi siamo tutti brutti, sporchi e cattivi e non siamo capaci di amministrare le risorse. Racconteremo, evidentemente, che l’Italia non è una, unita e indivisibile, ma è molte cose diverse, a seconda dei territori dove ci si trova. Racconteremo che il nord è penalizzato dal sud e che l’Italia intera è penalizzata dai migranti e poi, seguendo questo modo di pensare, racconteremo anche che Taranto è penalizzata da Bari all’interno della regione Puglia o che la via dove abito io, che è una via periferica della città di Taranto, è penalizzata dal centro della mia città. Racconteremo sempre una valorizzazione di particolari che poco riescono a inserirsi e a relazionarsi con una complessità in cui siamo, invece, chiamati a vivere e ad abitare.
Io mi sento, Presidente, appartenente alla famiglia umana. Faccio fatica a ragionare sulle relazioni di particolarismi. Il luogo dove sono nato mi sembra assolutamente occasionale, per quanto importante e per quanto mi stia a cuore. Adesso ci avviciniamo alle elezioni europee. Avverto un senso forte di attenzione verso l’Europa. Mi sembra che il mondo vada oltre i nostri particolari e vorrei ragionare veramente su un percorso di politica che porti speranza e non paura.
Se affronti il futuro con speranza, privilegi la cultura dell’inclusione all’esclusione. Ti sta a cuore – non può non starti a cuore – che i bambini del paese più remoto della Calabria abbiano gli stessi diritti di istruzione di quelli del Veneto. Francesca Franzoso, Donato Pentassuglia e altri hanno rappresentato come l’istruzione nel sud sarebbe penalizzata in caso di autonomia rafforzata di Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna.
Insomma, stiamo ragionando di una idea di solidarietà tra diversi che viene completamente messa in discussione, diventa remota, marginale, messa da parte. Se racconti e pensi al futuro con speranza, evidentemente non puoi prescindere dal fatto che l’anziano del paese più periferico del Salento abbia le stesse possibilità di curarsi di quello che vive in Brianza. Bene hanno spiegato adesso Donato e altri che ai 680 milioni di euro che perderemmo solamente per l’IVA sul Fondo sanitario nazionale vanno ad aggiungersi i soldi che perderemmo nella distribuzione del Fondo sanitario nazionale tenendo conto del PIL, che può essere quello nazionale o quello regionale. Se i PIL considerati fossero quelli regionali, da 1.800 euro, il sud arriverebbe a 1.100 euro circa, come ci diceva Donato adesso.
Insomma, è una partita tutta interamente politica che mette al centro il modo di concepire proprio la vita, la politica, l’idea di futuro, il modo in cui si fa politica.
La questione è l’idea di comunità che abbiamo in mente, una comunità aperta e circolare, una comunità chiusa e autoreferenziale, una comunità che pensa alle diversità come ricchezza o con egoismi diffusi e la considera limite.
Presidente, credo che molti siano i modi di fare politica. C’è un modo bello, che mi appassiona, che è quello che mette al centro il bene comune. Poi, c’è il modo che mi appassiona di meno, in verità, che è quello che cerca perennemente consensi, che dice a tutti quello che tutti vorrebbero sentirsi dire, che cambia idea con una velocità impressionante su ogni tema. La politica cambia idea con una velocità impressionante su ogni tema. Soprattutto quando questo cambiamento di idea viene realizzato da chi ha ruoli importanti, evidenzia mancanza di responsabilità e mi fa paura, perché non so bene oggi che cosa diremo domani. Mi fa paura perché non c’è continuità, e mi fa paura perché capisco che tutto è finalizzato alla ricerca del consenso e non c’è la prospettiva, il progetto, l’idea di futuro, perché è stata messa da parte la dimensione valoriale di partenza. Se questo mi fa paura, e onestamente mi fa paura, con grande affetto verso il Presidente Romano e verso la sua proposta, faccio un po’ fatica a delegare al Presidente Emiliano questa partita così importante visti gli ondivaghi atteggiamenti che il Presidente ha assunto rispetto a questo tema. Grazie.
Speaker : PRESIDENTE.
Grazie. La parola al collega Casili.
Speaker : CASILI.
Grazie, Presidente. Siamo un po’ tutti stanchi, per cui cercherò di non togliervi molto tempo. Tuttavia, spero che questa discussione abbia innescato una certa consapevolezza nel dibattito, perché la preoccupazione è che il dibattito sia piuttosto appannaggio di speculazioni politiche, dibattito innescato in una prima parte dal Presidente Emiliano che ha gettato la pietra nello stagno salvo poi ritirarla, il Presidente Emiliano che non è in Aula ad assistere alla fine delle nostre considerazioni su un dibattito che noi tutti riteniamo importante, il Presidente Emiliano che ha cambiato, dopo una prima fase, la sua posizione e l’ha cambiata perché ormai assistiamo sovente in questo Consiglio a una parte della sua maggioranza che si trasforma, come diceva il collega Marmo, in opposizione, perché è in atto, ed è evidente agli occhi di tutti, alla vigilia delle elezioni europee, un gioco muscolare tra una parte della maggioranza e lo stesso Governo.
Se questo discorso, invece, lo vogliamo sostanziare, perché ritengo sia importante parlare di autonomia, parlare di regionalismo, questo per evitare anche che succeda quello che è successo, a causa di irresponsabili Governi di centrosinistra, lo ricordavano un po’ tutti i colleghi, con il Titolo V e con i pasticci delle riforme attuate sul Titolo V, che poi hanno fatto scaturire a catena una serie di problemi su tutte le Regioni. E non starò qui certamente, come ricordava il collega Damascelli, a parlare di efficienza o meno in base alla redistribuzione delle risorse, dato che noi non sappiamo spendere neanche i 10 miliardi di euro a disposizione, se noi andiamo a cumulare il PSR, i fondi di sviluppo e coesione, i patti per il sud. Soltanto del PSR abbiamo speso il 20 per cento di quanto noi potevamo fare e siamo a fine legislatura, con le imprese che abbiamo inchiodato perché non gli abbiamo fatto fare gli investimenti. Ma siccome non la voglio buttare sulla narrazione di qualche leghista che ci dice “dovete essere più bravi”, perché quella narrazione evidentemente non mi piace, vorrei cercare di stare nel perimetro rispetto ai rubricati articoli 116 e 117 della nostra Costituzione e non derubricare neanche e far perdere di dignità il dibattito che ci ha tenuti fino a quest’ora in Aula, perché evidentemente il punto è che non ci piace questa dicotomia sul regionalismo istituzionale oppure il regionalismo fiscale, in buona sostanza sul regionalismo che è in funzione della ripartizione delle funzioni – scusate il gioco di parole – oppure su quello fiscale che è in funzione della ripartizione delle risorse.
È qui il punto dove si cela, magari da parte di alcune Regioni più forti del Paese, quello che alcuni miei colleghi hanno detto, e cioè si cela quel discorso della secessione di alcune Regioni del Paese. Quindi, noi a questo approccio – lo dico al collega Pentassuglia, lo dico a tutti i colleghi – non ci stiamo.
L’approccio di governo che noi abbiamo, l’idea di governo che noi abbiamo è quella di un regionalismo cooperativo, piuttosto che un regionalismo di tipo competitivo. In questa cooperazione, in questa idea del Paese, in questo patto sociale del Paese ci crediamo fortemente. La collega Laricchia ha citato, all’inizio del suo intervento, giustamente, ciò che deve essere fatto nel Paese, cioè il rispetto dei LEP. Non starò a ripetere, come dice il collega Colonna, acronimi che sono stati abbondantemente discussi in questa fase del Consiglio. Ma questo approccio di tipo co-operativo, ci permette una ripartizione delle funzioni dell’erogazione dei servizi che non comporterebbe in questo caso rispetto a quello competitivo, un grado di non soddisfacimento dei bisogni essenziali molto difforme all’interno del Paese. Le aspettative dei cittadini, a quel punto, capite bene che dipenderebbero dalla capacità produttiva di una Regione piuttosto che di un’altra.
Quindi, un nuovo patto sociale, nel Paese, porterebbe, se noi dovessimo conservare quell’approccio di tipo competitivo, conseguenze sul senso di appartenenza dei cittadini meno fortunati, perché residenti in regioni più povere, e sulla loro stessa dignità di appartenere ad uno Stato. Lo dico a scanso di equivoci, al collega Amati e al collega Pentassuglia: qui nessuno di noi vuole istituzionalizzare o, come si è detto, costituzionalizzare le disuguaglianze che ci sono, e sono evidenti, a livello interregionale.
Questo patto sociale di cui dicevo prima, quindi, deve essere condiviso, e io spero che nasca una profonda consapevolezza, da questo dibattito, altrimenti ce ne saremmo andati, come qualcuno ha detto, con una spicciola retorica frutto appunto di speculazioni politiche, senza portarci a casa un bagaglio, magari, di conoscenze condivise con tutti i colleghi. Anzi, a tal proposito chiedo, se siete tutti quanti d’accordo, di unificare le quattro mozioni, perché tre di esse mi sembra che siano molto simili. A questo punto, senza fare figli e figliastri, il senso è quello, e poi lo vorrei comprendere da tutti i proponenti, soprattutto da coloro che inizialmente hanno proposto la prima mozione, di andare, tutti quanti d’accordo, con questa cooperazione che deve nascere prima di tutto da un nostro approccio culturale che deve essere differente rispetto alle schermaglie di bandiera o di colore politico. Altrimenti, questa è la dimostrazione che oggi ce ne stiamo andando con una discussione che è nata soltanto per fare mera speculazione politica. E noi questo non lo vogliamo, perché riteniamo che questo avvenga in spregio alla tutela, agli interessi del nostro popolo. Questo patto sociale va condiviso e deve suggerire la ricerca di un autonomismo – chiamiamolo “regionalismo” – di tipo cooperativo che è sicuramente più idoneo alla complessità, alla realtà del Paese che viviamo, dove è indubbio che persistono divari interregionali, persistono differenze interregionali molto forti ancora in termini di sviluppo economico e sociale.
Per ultimo, e veramente concludo, qui si tratta, cari colleghi, di non strumentalizzare l’articolo 116, comma 3, della nostra Costituzione. Non lo si deve strumentalizzare indubbiamente per ottenere quote di risorse erariali raccolte nei propri territori, quote di risorse territoriali – lo vorrei ricordare a tutti; qualcuno lo ha ricordato – che non devono essere slegate dalle coperture dei costi necessari al finanziamento delle funzioni legittimamente richieste e attribuite alle Regioni.
Occorrerebbe, credo, alla fine di tutta questa fiera, ragionare e operare più sul lato della spesa. È rientrato il Presidente Emiliano. Il lato della spesa oggi ci vede inefficienti come Regione. Qualche collega ricordava le quote di investimenti e altre questioni. Siccome noi vogliamo essere costruttivi, critici e non vogliamo buttare la pietra nello stagno, così come è successo nella discussione innescata dal Presidente Emiliano, dovremmo interrogarci se fino ad oggi – e siamo a fine legislatura – noi abbiamo fatto i nostri compiti a casa e abbiamo speso le risorse provenienti dal PSR, come dicevo, dai Fondi di sviluppo e coesione, dai Patti per il sud e quant’altro.
Altrimenti, se non sappiamo fare i nostri compiti a casa e siamo solo capaci... Non avete citato e ricordato i 200 milioni di euro che i nostri cittadini pugliesi sostengono di mobilità passiva, cioè cittadini pugliesi che scappano dai nostri ospedali per andare a curarsi in Emilia-Romagna, in Veneto, in Lombardia, cioè in quelle regioni dove noi stiamo puntando in un certo qual modo il dito, legittimamente, dicendo che questo tipo di regionalismo fiscale non lo vuole nessuno.
Per cui, o la discussione si incentra su questioni oggettive, ripeto, senza speculazioni di natura politica, che servono a tutti per costruire una Regione migliore, delle Regioni migliori, o questo sarà il solito dibattito sterile che nessuno di voi, colleghi consiglieri, credo abbia voluto far innescare, che non ci ha portato nulla e che non ci ha sensibilizzato a un approccio di un Governo che deve essere, come dicevo all’inizio del mio intervento, di tipo cooperativo. Quindi, rimarco e vi ripropongo la possibilità di unificare le mozioni che sono state presentate oggi in Aula.
Grazie.
Speaker : PRESIDENTE.
Grazie a lei. La parola al collega Pendinelli. Collega, la prego di restare nei tempi. Grazie.
Speaker : PENDINELLI.
Cercherò di essere brevissimo, Presidente. Io ho ascoltato gli interventi precedenti con grande attenzione e mi ha fatto piacere anche ascoltare le parole della collega Franzoso, perché faceva riferimento a tentativi che si sono già verificati nel nostro Paese in passato e rispetto ai quali ci sono state persone che avevano ruoli politici e che hanno preso posizione, così come ho aderito subito con favore all’iniziativa del collega Amati perché già nel marzo dell’anno scorso avevo pubblicamente preso posizione contro quell’iniziativa del Governo Gentiloni.
Adesso lo dico perché io con rammarico ho ascoltato alcune riflessioni fatte in quest’Aula su una sorta di giustificazione che noi dovremmo dare a una norma che ci va contro e la giustificazione risiede nel tema che il sud ha operato male.
Intanto io partirei da un concetto. La norma o è giusta o non è giusta. La norma non può essere ingiusta sulla base della colpa che qualcuno ha. Ammesso anche che noi si sia operato male nel sud e che il divario nord-sud attenga a una migliore qualità dell’azione di governo che il Settentrione ha messo in campo in questi anni, ammesso che ciò sia vero, comunque non è possibile ammettere che questo giustifichi una norma che va a danno di alcuni cittadini italiani.
Voglio ritornare con alcuni esempi. Io sarò molto più breve del tempo che mi è stato assegnato, però voglio a quest’Aula fare una riflessione. Nel 2001 io partecipai a un convegno a Venezia su un programma nazionale sulle politiche attive del lavoro.
Subito dopo il convegno un assessore di una provincia del nord, Pordenone per la precisione, mi fece un’osservazione molto semplice. Mi disse: “Per noi la Lega è uno strumento che abbiamo sostenuto e continuiamo a sostenere perché nel momento in cui finiva il periodo delle vacche grasse avevamo bisogno di un elemento di pressione sul Governo nazionale che consentisse di dare alle nostre istanze un peso maggiore, perché se noi diciamo che dobbiamo dare 10 destra e sinistra ci vengono dietro perché non possono fare di meno. Questa riflessione me la sono ripetuta in testa per molto tempo. E quando da sindaco vedevamo, come per esempio quando prima i bilanci dei Comuni avevano un trasferimento dello Stato che era composto da varie voci, e una delle voci era il fondo per gli investimenti, una delle voci che contribuiva a determinare il trasferimento ai Comuni, il fondo per gli investimenti dava ai Comuni del Nord moltissime risorse in più, perché i Comuni del Nord partivano da una base di disponibilità economica maggiore. E se lo ricordano bene tutti i segretari comunali. Quando la figura del segretario era importante, ce n’erano tanti nei Comuni a tempo pieno, non con le convenzioni che imperano oggi. Ebbene, i segretari comunali del Sud che andavano a fare i loro primi incarichi al Nord e poi tornavano che cosa dicevano? Noi veniamo da Comuni che realizzano avanzi d’amministrazione milionari e poi veniamo al Sud e, invece, dobbiamo stare attenti a come far quadrare i bilanci. Allora, è una situazione strutturale.
Se noi affrontiamo questo ragionamento fuori dal discorso che anche i livelli di prestazione essenziali e i fabbisogni standard non ci consentono di fotografare con attenzione la situazione che si determina e se poi immaginiamo che, nel momento in cui applichiamo una riforma del genere, possa essere conveniente per tutti, allora guardate che nei paesi c’è un detto che è molto semplice e dice che, quando un furbo incontra uno che è meno furbo e fa l’affare, l’affare lo fa uno, non lo fanno tutti e due, anche se spesso nelle attività commerciali si tende a promuovere l’idea che ci può essere un affare che conviene a tutti quanti. Quando c’è un vero affare, l’affare lo fa uno, non lo fanno tutti e due. L’altro non fa un affare. Probabilmente vive una condizione di necessità, ma non di più.
Oggi ci troviamo in un momento in cui il passaggio è estremamente delicato. Del resto, anche quando il collega e amico Caroppo faceva riferimento ai fondi, lui stesso ha citato la Provincia di Trento, che gestisce autonomamente il servizio universitario, ma lo fa sulla base di un trasferimento di risorse che è enormemente maggiore, perché proprio la Provincia di Trento usufruisce dei trasferimenti dei territori a Statuto speciale.
Quello che il Governo farà oggi andrà a incidere in modo determinante sul futuro del nostro Paese e sul futuro dei territori meridionali e quei passi che verranno fatti probabilmente non saranno più reversibili, così come dal dopoguerra non è mai stato possibile andare indietro rispetto all’istituzione delle Regioni a Statuto speciale.
Sinceramente ho firmato una mozione e mi auguro che si possa arrivare alla determinazione di un’unica mozione, perché non avrebbe senso davvero fare votazioni diverse. Io sono, ovviamente, disponibile a questo, pur avendone firmata una, ma perché era l’iniziativa meritoria del collega Amati, che ha consentito che questa discussione avvenisse.
Io credo però che dobbiamo uscire da quest’Aula con una consapevolezza. Noi possiamo fare tutti i ragionamenti che vogliamo sul piano teorico, tirare concetti, fare anche un po’ come il collega Casilli, adesso, che si è un po’ arrampicato sugli specchi con concetti generici. Le manovre e le operazioni normative hanno una sostanza. Quella sostanza ti può dire che hai raggiunto un risultato. Devo dire con rammarico che negli ultimi anni della vita politica di questo Paese io credo che noi, a prescindere da come utilizziamo i soldi, dovremmo recuperare un po’ di solidità e di concretezza che i colleghi del nord hanno dimostrato. Qui non c’è destra, sinistra, centro, 5 Stelle o altro. Qui c’è un problema sostanziale in cui noi dovremmo cercare, se riusciamo almeno ad avere la certezza di aver fatto tutto il possibile, di fare in modo che un processo di autonomia non avvenga assolutamente al di fuori di una cornice normativa precisa, che salvaguardi tutti, e quella cornice non può che essere estremamente precisa.
Se quella cornice diventa l’enunciazione di alcuni princìpi, alla fine quella forbice che purtroppo ancora oggi si sta divaricando sempre di più fra l’economia del sud e l’economia del nord, continuerà ad aprirsi e probabilmente noi avremo perso un’ulteriore occasione.
Speaker : PRESIDENTE.
Grazie.
La parola, per l’ultimo intervento, al collega Ventola.
Speaker : VENTOLA.
Grazie, Presidente e colleghi consiglieri.
Ho ascoltato con attenzione, non distraendomi un secondo, tutti gli interventi, perché è un tema che purtroppo è stato molto sottovalutato, soprattutto da parte dell’opinione pubblica. Di questo dobbiamo fare tutti ammenda, perché nessun partito politico, che mi risulti, da un anno a questa parte, ha mai organizzato un incontro per affrontare ciò che legittimamente, al momento, una parte dell’Italia sta tentando di fare.
Prima di tutto, lungi da noi pensare che si possa creare un fronte nord contro sud, perché questo significa solamente strumentalizzare da un punto di vista elettorale, con una visione sinceramente molto piccola. Queste esperienze appartengono già alla storia. Si è affrontato nel merito: cosa è accaduto? Cittadini come noi, italiani, hanno indetto e hanno partecipato ad un referendum. Non erano in tantissimi a partecipare a quel referendum, ma il 95-98 per cento di quelli che hanno partecipato hanno esattamente votato ciò che è stato portato all’attenzione dell’all’epoca Governo Gentiloni, cioè una serie di competenze. Verrebbe da chiedersi perché cittadini come noi, italiani, hanno votato chiedendo maggiore autonomia. Perché lo hanno fatto? Io ho letto tantissimo in questo periodo. Mi sono fatto una piccolissima idea. Secondo me, c’è una consapevolezza debole di quello che realmente sta accadendo e si sta pensando che lasciando coloro che possono sembrare una zavorra si può collegare meglio il nostro nord Italia all’Europa, quindi essere maggiori protagonisti, continuare a vivere nell’agiatezza e magari migliorare i propri standard quali-quantitativi. Chi ha deciso questo sono cittadini come noi. Se noi siamo italiani e rivendichiamo questo, dobbiamo avere rispetto di questa loro consapevolezza, dal mio punto di vista debole. Quando le parole, le enunciazioni di principio si tradurranno in atti concreti, bisognerà vedere punto per punto le risorse se ci sono o non ci sono, il famoso debito pubblico che fine fa, se rimane italiano o rimane diviso su base regionale, la questione dei residui. Tanto ancora c’è da fare.
Che cosa possiamo fare, mi sono chiesto, come consiglieri regionali? Ho letto diverse mozioni, ne ho votato pure una e ho detto: non possiamo fare niente. Non è una competenza nostra. Abbiamo eletto dei parlamentari. Ci sono dei parlamentari italiani che rappresentano la Repubblica italiana. Mi auguro che il Parlamento sia investito non per ratificare un’intesa per la quale non si può apportare nessuna modifica e che dura dieci anni senza che nessuno la possa modificare. Questo è pericolosissimo. Immagino e desidererei avere un Parlamento che investa su se stesso, sulla vera funzione legislativa.
Del resto, anche in questo la storia ci corre in soccorso. Dopo tanti anni di tentativi, di devolution, referendum e riforme costituzionali, c’è stata la legge n. 42/2009, fatta da un Ministro pugliese e da un Ministro del nord, Calderoli e Fitto. Si chieda la piena attuazione di quella legge. Dobbiamo ripartire di là. Quella è una legge che ha voluto il popolo italiano attraverso il Parlamento. Si parla di livelli dei costi standard, di livelli prestazionali. Si parla di tutto questo, che in queste intese è scomparso. Nelle intese – che anch’io, Fabiano, ho letto con estrema attenzione – alla legge n. 42/2009 non fa riferimento nessuno. È un interesse “di parte”. Noi vogliamo contrastare un interesse di parte contrapponendo un altro interesse di parte, quasi a stare lì con il cappello in mano a chiedere “non dobbiamo staccare nulla sennò moriamo”? Ma scherziamo? Qui ne va dell’autorevolezza della classe dirigente del sud. Probabilmente se dal 2009 al 2019, in dieci anni, fossero stati realizzati i costi standard e fossero stati individuati i livelli prestazionali, avremmo scoperto che abbiamo un delta negativo dei pubblici dipendenti e quindi non si riesce a dare risposta all’impresa perché non c’è il dipendente nel Comune, nella Provincia e nelle Regioni.
Avremmo scoperto che ogni paziente costa meno, si investe meno al sud rispetto al nord e per le infrastrutture altrettanto. Su questo dobbiamo noi cercare di fare pressione sia ai parlamentari che alle nostre forze politiche. Non c’è nessun programma elettorale del 2018 che ha portato esattamente quello che si sta votando. È frutto di un accordo, di un contratto, di un articolo di un contratto perché anche nell’ambito del centrodestra il programma elettorale non parlava di questo, ma parlava di rafforzamento delle autonomie locali attraverso il federalismo responsabile, che significava applicazione della legge n. 42 del 2009.
Oggi agli amici e colleghi del Movimento 5 Stelle, che hanno questa responsabilità di governo, che in quel contratto è stato sottoscritto un qualcosa che il popolo italiano non ha votato e che quindi in sostituzione del popolo italiano ci può essere solo il Parlamento perché viviamo in una Repubblica parlamentare. Quel contratto è frutto di un accordo politico, che deve essere ratificato mi auguro quanto prima in Parlamento, non con provvedimenti spot o singoli. Che cosa possiamo fare? Esattamente questo. Ci sono delle iniziative di altri colleghi che ho sentito, ma vediamo se nell’ambito dei nostri partiti di riferimento si riesca veramente a prendere una decisione di tipo nazionale e si affronti veramente una volta per tutte nel merito.
Cosa può fare la Conferenza Stato-Regioni? La Conferenza Stato-Regioni può avere una forza politica? Questo è un appello al Presidente. Ogni martedì e mercoledì, quando c’è la Conferenza Stato-Regioni si producono intese. Si può arrivare a un certo punto che le intese non si producono su nulla, si blocca l’attività dell’intesa, se evidentemente non si affronta questa questione.
Penso che dalla giornata di oggi… Io ho sottoscritto la mozione Marmo con quella accezione condivisa con il Capogruppo, legata anche a una maggiore responsabilità nostra, perché probabilmente come amministratori locali e regionali, con le dovute differenze tra chi amministra e chi magari si trova pro tempore alle opposizioni e viceversa, c’è una nostra responsabilità, perché probabilmente di inefficienze ce ne sono tante.
Detto questo, però, se siamo tutti italiani, dobbiamo pretendere che il tutto venga fatto in quella che noi abbiamo tutti considerato come inviolabile, cioè la legge della nostra Costituzione. In quell’ambito credo che la Conferenza Stato-Regioni e soprattutto il Parlamento abbiano un ruolo ben preciso. In Parlamento si vota per maggioranza e io sfiderei qualunque forza politica a forzare la mano su un provvedimento che non è condiviso dal territorio. L’appello è che si riparta dalla legge n. 42 del 2009, perché lì abbiamo anche le risposte per il nostro Sud, sperando di poter arrivare un giorno – è quella la vera battaglia su cui chiamerei tutti quanti a raccolta – nel pretendere pari condizioni. A pari condizioni gareggiamo, i 100 metri, i 1.000 metri, i 10.000, tutto quello che vogliamo. Ma a parità di condizioni. Altrimenti, significa che siamo tutti quanti messi da parte e diventerà, ancora una volta, una becera strumentalizzazione politica. Poi fra due mesi ognuno andrà a chiedere i voti per la propria bandiera, fra 8-10 mesi ognuno andrà a chiedere i voti per la propria bandiera. Ebbene, uno deve mettere in discussione anche la propria bandiera, se la bandiera di partito non difende gli interessi nazionali. Se il dibattito si vuole aprire se servono meno Regioni, macroregioni o altro, quella è un’altra cosa molto, molto interessante da affrontare.
Rifletto, e chiudo, perché non ho nulla da insegnare a nessuno: in un mondo che sta cambiando, dove ci sono singole città della Cina che valgono 20 milioni di abitanti, 21 milioni di abitanti, noi che siamo 60 milioni di italiani, di cui il 10 per cento sono stranieri che sono diventati italiani, pretendiamo ancora di ragionare con 2 milioni o 4 milioni di abitanti, regioni da 700.000 abitanti, da 400.000 abitanti? Questa sarebbe una riflessione molto più alta da dover affrontare. Altrimenti, significa che continueremo a vivere da protagonisti il nostro momento con qualche articolo sul giornale, ma non saremo sicuramente ricordati dalla storia.
Speaker : PRESIDENTE.
Grazie.
La parola al Presidente Emiliano. No? Va bene. Allora, un attimo solo.
Vediamo come procedere.
Ovviamente, tutte le mozioni si concludono dando un input, sia pur diversificato, al Presidente Emiliano. Si tratta di capire se ci sono le condizioni politiche per dare un input unitario.
Nel frattempo, sulla mozione Marmo e Zullo, su proposta del collega Pino Romano ed altri, che vi stiamo distribuendo in questo momento, si è raggiunta una prima convergenza, sulla parte finale. A questo punto, si tratta di valutare. Sospendiamo su questo punto e ci aggiorniamo a domani mattina, con il tentativo di verificare tra i Capigruppo di poter convergere su un testo unico.
Se non c’è questa possibilità, non rimane altro che procedere. A questo punto, viste anche le firma di Abaterusso, eccetera, diventerebbero tre le mozioni da votare. Per cui, decidiamo il da farsi. Ho sentito tanti appelli. Proviamo a vedere, da qui fino a domani, se intorno alla prima aggregazione si possa, con qualche piccolo aggiustamento, convergere col maggior numero possibile.
Non credo che raggiungeremo l’unanimità, ma possiamo provare a vedere se si possa determinare una convergenza più ampia, a partire dalla prima, che già è intervenuta, vedendo di limare, se è necessario, quel testo. Se non sarà possibile, è chiaro che procederemo al voto sulle tre mozioni che a questo punto sono rimaste, considerato che il Capogruppo Abaterusso, con qualche accorgimento, mi ha detto, ha già firmato la mozione che adesso abbiamo provveduto a distribuirvi.
Consigliera Di Bari.
Speaker : DI BARI.
Grazie, Presidente.
Noi ovviamente siamo d’accordo su questa proposta, anche perché è stata già anticipata dallo stesso Christian Casili, quindi non possiamo che essere d’accordo sul cercare di poter fare un’unica mozione, sarebbe il percorso più giusto da seguire.
Speaker : PRESIDENTE.
Va bene.
Ovviamente, partite dalla convergenza e lavorate sul testo su cui c’è già una convergenza di tre Gruppi. Consigliere Abaterusso, prego.
Speaker : ABATERUSSO.
Presidente, come lei ha detto, io ho sottoscritto la mozione che mi ha sottoposto Marmo. Avrei dei chiarimenti su alcune condizioni, non da inserire nel testo, ma al momento del voto da esplicitare, sul secondo punto, soprattutto. Al di là della mia posizione, ove fosse possibile, siccome l’argomento è stato lungamente dibattuto e ha interessato non solo ogni forza politica presente in Consiglio regionale, ma i singoli consiglieri che sono intervenuti anche a titolo personale, vorrei proporre al Presidente, ove possibile, di spostare a domani il voto finale per esperire, dopo aver ascoltato anche il Presidente Emiliano, un ulteriore tentativo perché si possa addivenire a una votazione quanto più larga possibile. Se fosse unanime non sarebbe male, con l’eccezione del responsabile della Lega Nord, ovviamente.
Quindi, chiederei di spostare, ove possibile, a domani mattina.
Speaker : PRESIDENTE.
Va bene. Le volontà le verificheremo domani.
Amati.
Speaker : AMATI.
Presidente, sulla votazione di domani. A questo punto, immagino che si concluda il Consiglio regionale su questo argomento. Mi pare di capire che domani si ricomincerebbe dalla votazione sulle mozioni, per poi continuare con la proposta di legge sulle liste d’attesa.
Per domani non c’è problema, però facciamo osservare che la nostra mozione è un’altra cosa. La nostra mozione dice che la bozza lombardo-veneta è da contrastare. Lo dice punto per punto. Si occupa di quell’argomento. Sulle altre mozioni – lo dico a vantaggio della discussione che verrà, quindi anticipando il nostro orientamento – molti di noi sono addirittura d’accordo. Niente impedisce di votare più mozioni, ma la nostra, su cui chiederemo il voto domani mattina, riguarda il “no” alla bozza di intesa relativa all’autonomia lombardo-veneta. È scritto. Voteremo tutte quelle che dicono questo.
Da questo punto di vista, nessun problema a rinviare a domani la votazione, anticipando sin da questo momento che chiederemo sia posta ai voti la mozione che abbiamo presentato.
Grazie.
Speaker : PRESIDENTE.
Se non c’è nessuna volontà di allargare, possiamo procedere pure stasera. Vogliamo prenderci queste dodici ore di tempo? Si può provare? Domani procediamo al voto. Come volete.
Votiamo stasera? Se le volontà sono queste, è inutile attendere eventi. Procediamo al voto. Va bene. L’Assemblea è sovrana.
Prego, Colonna.
Speaker : COLONNA.
Alle ragioni già espresse da Fabiano, detta in maniera molto concreta, la perplessità si riferisce soprattutto al secondo punto dell’ordine del giorno, della mozione che i colleghi ci stanno proponendo.
La mozione dei 10, iniziale, ha una presa di posizione chiara su un disegno in atto. Mi hanno insegnato che dinanzi al pericolo intanto devi affrontare il pericolo con tenacia, durezza, con la massima energia e poi affrontare il resto.
Faccio presente, in riferimento a questa mozione, che non è assolutamente persuasivo l’ultimo punto, perché la questione del fondo perequativo, mi fa piacere che sia stata ripresa da diversi colleghi, l’attuazione della legge n. 42 del 2009, non è solo una questione relativa alla consistenza della dotazione finanziaria. Il problema sono i meccanismi, i coefficienti, i parametri di applicazione del fondo perequativo, perché il fondo perequativo c’è. Il problema è come viene applicato il fondo perequativo che porta a delle distorsioni evidenti e sotto gli occhi di tutti.
Speaker : PRESIDENTE.
Adesso, siccome siamo praticamente nella procedura di voto, si accettano solo dichiarazioni di voto. Adesso procediamo. È inutile stare a fare discussioni su quello che raccontano le mozioni. Le mozioni sono chiare.
A questo punto abbiamo la prima mozione, la mozione del Movimento 5 Stelle e la mozione Liberi e Uguali, che viene assorbita da questa con quei piccoli accorgimenti che ha chiesto il collega Abaterusso, ma mi ha detto che è disponibile a votarla, salvo poi chiarimenti da fare.
Sono queste. Credo che la mozione del Movimento 5 Stelle rimanga in piedi e quindi procediamo al voto sulla prima mozione, con primo firmatario Amati.
Verificheremo il voto. Stanno apparendo le varie votazioni. Stiamo votando la prima mozione a firma Amati. Che è successo?
È una manovra per confondervi, per tenere forte l’attenzione. È una tecnica speciale. Insomma, come diceva Totò, basta che la somma corrisponda al totale. Questo è il punto.
Stiamo votando la mozione avente il collega Amati come primo firmatario.
Presenti 37, votanti 37, favorevoli 14, contrari 13, astenuti 10.
Non è approvata.
Secondo me, la maggioranza c’è. Io ho seguito la tecnologia.
Adesso votiamo la mozione del Movimento 5 Stelle. Poi vedremo quale sarà quella che prenderà più voti alla fine.
Presenti 34, votanti 34, favorevoli 8, contrari 10, astenuti 7.
Non è approvata.
Adesso andiamo alla mozione che ha assorbito quella del Capogruppo Abaterusso, a firma dei colleghi Marmo, Zullo, Vizzino, Pino Romano e Abaterusso. Votiamo. Presenti 37, votanti 37, favorevoli 19, contrari 6, astenuti 12.
La mozione a firma Marmo e Romano ha una maggioranza in più dell’altra, non possiamo fare diversamente. Questo è l’esito del voto. Poi lei, Presidente, faccia la sintesi e decida, nella sua autonomia, il da farsi.
Adesso, come avevamo ricordato, abbiamo un impegno istituzionale, per cui domani mattina riprendiamo dalle liste di attesa. Prego i consiglieri di presentarsi in tempo perché poi dobbiamo scorrere. Non facciamo la Conferenza dei Capigruppo e vediamo di cominciare al più presto possibile.